ALLARME EMULAZIONE PER SQUID GAME. REALTÀ O ESAGERAZIONE?

«Squid Game, rischio emulazione», «Squid Game, allarme violenza», «Emergenza Squid Game», «Fenomeno Squid Game» .

Titolavano così molte testate giornalistiche che, sin dall’uscita della popolare serie coreana, hanno raccontato di fenomeni di emulazione, veri o presunti, tra i giovanissimi. Fenomeni di violenza tali che qualcuno è giunto anche a chiedere la censura di quello che, in pochissimo tempo, è diventato un successo globale.

allarme emulazione

A dire il vero, le polemiche, protagoniste delle cronache tra ottobre e novembre, si sono ormai quasi del tutto sgonfiate, segno che, probabilmente, qualche esagerazione c’è stata nel narrare questo presunto allarme emulazione.

Esagerazione data forse dal voler cavalcare l’onda di popolarità? Chi scrive qualche sospetto a riguardo ce l’ha avendo letto lo stesso copione più e più volte. Non solo perché Squid Game è sì violenta, ma non più di tante altre opere (e comunque è vietata ai minori di 14 anni). Ma anche perché non è la prima volta che un prodotto di intrattenimento, nuovo, all’apice della sua popolarità, viene accusato di essere all’origine di episodi di violenza da parte di giovani e giovanissimi. Anzi, è un copione sempre verde da rispolverare in ogni occasione, comodo espediente per trovare facili capri espiatori contro cui puntare il dito, piuttosto che ammettere falle nell’educazione dei ragazzi. Meglio pensare che il male provenga dall’esterno. Ci esime dal doverci porre delle domande che spesso esigono risposte scomode.

Meglio trovare un colpevole, come se, cancellata l’opera incriminata, d’improvviso debba arrivare la pace nel mondo, d’improvviso la gente inizi ad abbracciarsi, ad aiutarsi l’un l’altro.

Ora è toccato ad una serie, ma, in passato, tanti altri tipi di media sono stati accusati di essere all’origine di tutti i mali.

L’ALLARME EMULAZIONE NEI FUMETTI

«[I delinquenti] di oggi, essendo maturati troppo in fretta, leggendo i fumetti, vanno a fare le rapine e pensano che, male che vada, possono sparare» diceva uno dei personaggi all’inizio del film “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani, del 1968. Film che narrò le imprese criminali della banda Cavallero, negli anni ’60 e che fu tra gli ispiratori del cinema poliziottesco.

Allarme emulazione
Banditi a Milano (1968) di Carlo Lizzani

Erano gli anni ’60 e quelle erano le parole pronunciate in un film. Ma l’idea che all’origine di atti di violenza potesse esserci l’emulazione di opere narrative non era solamente un elemento di una sceneggiatura. Era un’idea diffusa, se si pensa che i fumetti tornarono sotto accusa ben trenta anni dopo. Questa volta insieme ad un altro tipo di media che, nel frattempo, si era affermato in Italia dopo la diffusione delle reti televisive locali: gli anime, i cartoni animati giapponesi.

L’ANIMAZIONE GIAPPONESE SOTTO ACCUSA

Andiamo negli anni ’90. Nel ’96, per la precisione. Le cronache riportarono agghiaccianti notizie provenienti da Tortona, in provincia di Alessandria. Notizie che videro protagonisti ragazzi che, per gioco, lanciavano sassi dai cavalcavia, per colpire le auto che passavano al di sotto. Un folle gioco che non tardò a fare vittime. La notizia fece scalpore e rimbalzò su tutti i notiziari e la carta stampata dell’epoca. Colpì l’opinione pubblica, incapace di spiegare come si poteva uccidere qualcuno per noia, per gioco. Cosa poteva spingere dei normali ragazzi a trasformarsi in assassini? Magari si sarebbe potuta fare qualche seria analisi!

Ma anche no!

Meglio trovare subito un colpevole contro cui puntare il dito. E così, quando durante le perquisizioni, le forze dell’ordine trovarono materiale relativo a Ken il Guerriero, fu facile additare l’opera giapponese per aver influenzato negativamente i colpevoli. Tv e giornali si lanciarono all’attacco, gridando l’allarme.

Allarme emulazione Ken il guerriero
Hokuto no Ken, noto in Italia come Ken il Guerriero

«Ma in quale volume del manga o in quale puntata dell’anime si lanciano sassi da un cavalcavia» si chiederebbe uno che quell’opera la conosce? E la risposta sarebbe: «Da nessuna parte». Anche perché, nel mondo post-apocalittico di Hokuto No Ken (il nome originale dell’opera) le auto sono poche e i cavalcavia sono totalmente assenti, distrutti dall’apocalisse nucleare come tutto il resto della civiltà.

GOLDRAKE SUL BANCO DEGLI IMPUTATI

Stessa sorta, d’altro canto, era toccata all’animazione fantascientifica giapponese. Quando, negli anni ’70, Goldrake e i grandi robot sbarcarono sulle tv italiane, furono accusati di traviare le menti dei giovani, di spingerle alla violenza. O all’autolesionismo, invitandoli a lanciarsi dalle finestre imitando i mecha volanti disegnati in Giappone. Cattiva informazione, unendosi a leggende metropolitane e paura di qualcosa di nuovo, sconosciuto, che veniva da terre lontane, furono all’origine di questa caccia all’untore. Una caccia verso qualcosa che, in realtà, in origine, non era pensata come destinato esclusivamente all’infanzia. E conteneva molti altri significati.

Allarme emulazione Goldrake
Goldrake

Ma, forse, conoscere l’argomento di cui si disquisiva poco interessava a chi aveva necessità di additare qualcosa e di infondere terrorismo psicologico paventando l’allarme emulazione.

ANCHE I FILM NEL MIRINO

Dagli episodi raccontati sono passati decenni, ma, nel frattempo tante altre opere sono finite nel mirino di un’inquisizione ansiosa di trovare capri espiatori. A partire dai tanti film indicati come origine di presunti casi di emulazione: Arancia Meccanica (1971), Taxi Driver (1976), I guerrieri della notte (1979), Assassini Nati (1994) e tanti altri film.

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Per non parlare di un altro media che, nel frattempo, si impose e divenne popolare. Un media che permette a chi ne usufruisce non solo di assistere a vicende narrate su uno schermo, ma di viverle, di controllare le azioni dei suoi protagonisti: il videogioco.

I VIDEOGAME ALL’ORIGINE DELLE STRAGI

A scatenare la caccia alle streghe contro questo media giovane e ancora sconosciuto da tanti, in Italia, ma anche altrove, furono i gravissimi fatti di sangue della Columbine High School.

Stati Uniti, 1999. Due studenti entrarono nella scuola armati con fucili e spararono all’impazzata. Il bilancio delle vittime fu di 12 studenti e un docente. Oltre ai due autori del massacro, suicidatisi dopo la mattanza.

Cosa poteva aver trasformato due ragazzi in feroci assassini? Disagi psicologici non ascoltati in tempo? No, troppo difficile da accettare.

A dare una risposta più semplice e più sbrigativa fu quel videogioco di cui uno dei due era appassionato, Doom (1993), in cui un anonimo soldato (noto tra i videogiocatori come Doom Guy, il tizio di Doom), disperso su Marte, doveva sopravvivere ai demoni che infestavano il pianeta rosso. Sparando, ovviamente.

allarme emulazione per Doom

Non fu il solo videogioco ad essere portato sul banco degli imputati per presunti fenomeni di emulazione. Ci finirono anche altri, sin dagli anni ’70, quando questo media era ancora neonato. La lista è lunga. Comprende giochi come Death Race (1975) in cui, alla guida di un’auto, si dovevano investire dei mostriciattoli (la grafica stilizzata del tempo poteva far pensare benissimo a persone); Mortal Kombat (a partire dal 1992), gioco di combattimento celebre per la sua violenza esagerata ma al tempo stesso grottesca; Carmageddon (1997) gioco di gare automobilistiche con licenza di investire pedoni. Con il celeberrimo horror Resident Evil la Guardia di Finanza italiana giunse anche a sequestrare oltre 5mila copie dai negozi di tutta Italia. Sotto accusa la violenza degli zombie e l’atmosfera inquietante tipica del gioco.

 

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Mortal Kombat
Resident evil 2 allarme emulazione
Resident Evil 2

 

MA COSA C’È DI VERO?

A poco vale sottolineare che in qualsiasi forma di narrazione, dalla letteratura alla pittura, la violenza è sempre stata ricorrente, essendo un elemento insito nella natura e della storia umana. Nulla può fare l’evidenziare come molti esperti di psicologia abbiano smentito la responsabilità delle opere citate. E non serve neanche evidenziare che si tratta di opere non destinate ad un pubblico minorenne e che, quindi, i ragazzi non dovrebbero averne accesso. Per un pregiudizio che, oggi fortunatamente è sempre più in declino, il gioco e più in generale, l’intrattenimento, sono roba per ragazzi. E così cartoni, film, videogame, serie televisive, Netflix diventano comodi babysitter, mentre gli adulti sono impegnati a fare altro. Nonostante, la loro funzione non sia e non debba essere affatto quella!

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