LE HEROIDES DI OVIDIO: TRADIZIONE E INNOVAZIONE

di Gabriele Colella

Le Heroides o Epistulae Heroidum sono una raccolta di lettere in distici elegiaci, scritte da eroine del mito e indirizzate ai rispettivi uomini, ad opera dell’autore latino Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 17 d.C.). La pubblicazione dell’opera deve essere avvenuta in due fasi diverse. Secondo la maggior parte degli studiosi, nel lasso di tempo compreso fra le due edizioni degli Amores (presumibilmente tra il 15 a.C. e la fine del secolo). Venne diffusa una prima silloge di quindici epistole. In un secondo momento, negli anni appena precedenti l’esilio del poeta a Tomi (tra il 4 e l’8 d.C.), Ovidio aggiunse le lettere di tre eroi indirizzate alle loro rispettive donne, ognuna delle quali seguita dalla risposta della destinataria.

Publio Ovidio Nasone. Busto in marmo del 1° sec. Galleria degli Uffizi, Firenze

Nonostante non manchino, nel panorama letterario della cultura greco-latina, forme di epistolografia in versi, si è a lungo discusso sulla possibilità di considerare Ovidio il pròtos heuretès (l’inventore, il pioniere) di questo genere letterario. Sono infatti evidenti gli elementi di novità apportati dal poeta di Sulmona. In primo luogo, la struttura dell’opera: se è vero che già Properzio (47 a.C. – 15 a.C.) aveva composto un’elegia che sembra precorrere l’esperimento ovidiano (l’epistola di Aretusa a Licota, marito impegnato in una spedizione militare), è senza dubbio operazione originale; tuttavia, la concezione di una raccolta omogenea di epistole erotiche in versi che si immaginano inviate da eroine del mito ai rispettivi amanti, ciascuna indipendente dall’altra. In secondo luogo, la portata artistica dirompente di uno scritto come le Heroides. A Ovidio e alle sue Epistulae si deve il merito di avere effettuato una fusione del patrimonio mitico con i motivi convenzionali della tradizione elegiaca. La scelta della forma epistolare, d’altronde, implica inevitabilmente un rapporto dialogico fra mittente e destinatario, e accentua l’intimità della relazione. Il linguaggio non si configura epico-eroico; il registro privilegiato è quello affettivo e l’emotività della scrivente fa sì che anche i grandi eventi in cui i protagonisti delle lettere sono coinvolti – come la guerra di Troia, o la spedizione degli Argonauti, o il vagabondaggio degli esuli troiani – siano declinati in una dimensione familiare e umana. Contrariamente a Properzio, che spesso ricorre al mito per nobilitare la sua esperienza amorosa ed elevarla a una dimensione eroica, Ovidio umanizza le eroine mitiche, esplora la loro psiche di donne e analizza i riverberi emotivi della lontananza dall’amato.

Statua di Amore e Psiche, replica di un originale greco del II sec. a.C. Particolare del bacio. Musei Capitolini, Roma.
Edizione delle Heroides di Ovidio a cura di Giampiero Rosati per la casa editrice BUR, 2019. Testo latino a fronte.

Le singole lettere si configurano come monologhi in cui l’eroina, abbandonata dall’uomo amato, lamenta la propria condizione e illustra retrospettivamente la propria vicenda. L’adozione della forma epistolare, costituisce un esperimento audace, una sfida ai vincoli che essa comporta. Una delle limitazioni maggiori che minano l’efficacia espressiva della lettera è rappresentata dalla sua struttura monologica: in assenza di una prospettiva superiore e onnisciente, capace di narrare gli avvenimenti in maniera oggettiva e della dialettica fra diverse voci che interagiscono fra di loro, tutto ciò che il lettore sa dell’eroina è quanto l’eroina riferisce di sé stessa. L’eroina parla di sé come guardandosi «dal di fuori», e prova a passare in rassegna i propri trascorsi con il massimo dell’obiettività.
Anche nell’imperante prospettiva dell’eroina, Ovidio lascia percepire la sua presenza. Il poeta di Sulmona tende a insinuarsi nello spazio del personaggio, a sovrapporre la propria voce a quella della donna. Una dimostrazione di questo è nella tagliente ironia che, tutta ovidiana, si riflette nelle parole delle donne inconsapevoli. Nella lettera scritta da Laodamia a Protesilao, i tentativi reiterati della donna di ribadire l’unicità del marito, non possono non sortire un effetto ironico, a fronte del solo motivo in cui risiede la singolarità dell’uomo: toccare per primo il suolo di Troia e morirne. Nella XIV epistola, invece, le parole di Ipermestra sembrano celare dell’ironia, soprattutto sottintesa nel parallelismo creato tra i letti nuziali (lectus genialis) e quelli funebri (lectus vitalis).
Pur con accorgimenti di questo tipo, le Eroidi incorrono nel rischio di eccessiva staticità. Impressione creata da più di un fattore: la mancanza, nelle lettere, di una prospettiva che non sia quella della protagonista; il fatto che ogni epistola, che si immagina scritta in un preciso momento della vicenda mitica, si muova in uno spazio particolarmente ristretto. Il risultato finale non può non venirne influenzato: la forma epistolare condanna le Heroides a un’immobilità che, da un lato, si addice al loro carattere monologico; dall’altro, male si coniuga con l’ambizione del poeta di riprodurre, nell’estensione di una sola lettera, la vicenda mitica della protagonista e del suo uomo, seppur filtrata dalla sola voce femminile. Non si sarebbe troppo lontani dal vero nel pensare che lo stesso autore latino abbia avvertito questo pericolo. Possono, infatti, essere rintracciati senza difficoltà gli espedienti a cui Ovidio è ricorso per esorcizzare il rischio di monotonia che grava sulle Eroidi.

Penelope scrive a Ulisse. Miniatura di Robinet Testard tratta da un suntuoso manoscritto delle Heroides di Ovidio nella versione tradotta in francese dal poeta Octavien de Saint-Gelais. Bibliothèque nationale de France.

A titolo esemplificativo, citiamo il caso della nona e ventunesima lettera della raccolta. Nella epistola scritta da Deianira ad Eracle, il poeta ricorre all’introduzione, a un avvenimento esterno che influenzi lo sviluppo della compilazione e le decisioni di chi scrive. Durante la compilazione dell’epistola, infatti, Deianira viene informata della morte del marito, a causa del manto da lei inviatogli, intriso del veleno di Nesso: la notizia sconvolge la donna e la sua scrittura conferendo così una certa dinamicità ai versi finali dell’epistola, amaramente permeati dal tormento causato dalla presa di coscienza della sua colpevolezza. L’ultima Eroide, invece, si immagina scritta da Cidippe in momenti diversi, separati da intervalli più o meno brevi, dei quali viene fornita sempre un’opportuna motivazione: così, la forma epistolare si carica di movimento drammatico.
Si può credere che, per conferire maggiore vivacità alla forma epistolare, Ovidio abbia modificato il corso dell’opera introducendo le epistole doppie. Queste, infatti, consentono al poeta di recuperare la possibilità di visualizzare la vicenda mitica da una prospettiva alternativa a quella della sola protagonista e, al tempo stesso, grazie alle risposte, di fornire una giustificazione per la scelta della forma epistolare. Non è casuale, dunque, il fatto che Ovidio inverta, nelle tre coppie conclusive di epistole, la successione ideale: non sarà più la donna a scrivere e a restare in attesa di un’improbabile risposta, ma l’uomo a esigere per la sua epistola una risposta che, in questo caso, giungerà.

Deianira scrive a Eracle, ibidem.

Le Heroides costituiscono, a ben vedere, un testo unitario, dotato di una sua intima coerenza di struttura, di forma, di ideologia. È possibile, infatti, rintracciare la ricorrenza degli stessi schemi, temi, motivi sulla bocca di tante eroine diverse. All’impressione di uniformità contribuisce la tendenza del testo ovidiano a suggerire, talora a segnalare apertamente, le analogie tra la condizione di un’eroina e un’altra, a cerare una rete di richiami interni fra miti diversi.
Sembra che una certa uniformità colleghi in particolare le lettere scritte dalle mogli e indirizzate ai rispettivi mariti: her. 1 (Penelope a Ulisse) , her. 6 (Ipsipile a Giasone), her. 8 (Ermione ad Oreste), her. 9 (Deianira a Eracle), her. 12 (Medea a Giasone), her. 13 (Laodamia a Protesilao), her. 14 (Ipermestra a Linceo).
Nelle prossime pubblicazioni, sottoporrò all’attenzione dei Lettori alcuni motivi che accomunano le lettere delle coniuges. In secondo luogo, mi preoccuperò di mettere in luce, rispetto ai motivi individuati, le affinità e gli scarti tra le soluzioni espressive adoperate dalle sette mogli. L’obiettivo è quello di dedurre e delineare, sulla base dell’analisi linguistica della scrittura della coniunx, il profilo psicologico della protagonista, il suo carattere e, soprattutto, il modo in cui vive la relazione con il marito, nonché la distanza quasi sempre incolmabile da lui.

Che il viaggio alla scoperta delle eroine del mito, dunque, cominci!

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