LA TRUFFA ITALIANA DELLE CERTIFICAZIONI (CHE NON CERTIFICANO UN BEL NIENTE)

di Carmela Moretti

Quando in Italia si prova a rispondere a un bando pubblico, ci si perde in un mare di sigle e acronimi: ECDL, EIPASS, EQDL, LIM, TABLETS, DITALS, AICA, QCER, CEFI e tanto altro ancora.

Benvenuti nello strano mondo delle certificazioni: centinaia e centinaia di titoli, che ormai sono diventati una truffa bella e buona, nemmeno tanto mascherata.

Dunque, che cosa sono questi acronimi, per i quali tutti mettiamo mano al portafoglio? E soprattutto, attestano realmente delle competenze?

Ci sembra proprio di no. Fatta eccezione per alcuni (quelli linguistici, per esempio) ce ne sono tantissimi che raramente certificano una conoscenza acquisita. Però, sono a pagamento, a mangiarci sono in tanti, nelle offerte di lavoro sono espressamente richiesti come requisiti preferenziali e nei concorsi pubblici danno diritto a quel mezzo punto che può salvarti la vita, perché in graduatoria consente la scalata verso l’alto.

Spesso, quindi, funziona così: basta iscriversi, pagare da 300 a 500 euro, la frequenza non è obbligatoria, si esegue un test finale, si ritira il pezzo di carta ed è fatta.

Per onestà intellettuale, però, diciamocelo in faccia che molti di questi corsi non servono a un fico secco!

Per esempio, prendiamo le certificazioni informatiche. Ha davvero senso, ancora oggi, attestare una competenza informatica, se passiamo le nostre giornate a smanettare con smartphone e tablets? I concorsi e le offerte di lavoro si rivolgono spesso a una fascia d’età compresa tra i 18 e i 30 anni. E davvero pensate che un giovane d’oggi non abbia confidenza con il pc, Microsoft ed Excel? Impossibile, a meno che nella vita non si pratichi un ascetismo spinoziano.

Ancora, guardiamo i bandi pubblici per le scuole. Il corso per l’utilizzo della LIM (lavagna interattiva multimediale) costituisce un titolo preferenziale e nelle graduatorie scolastiche dà diritto a un surplus di punteggio. Ma vi prego, cercate una scuola in Italia (soprattutto al Sud) che abbia una LIM in tutte le classi, o che per lo meno le abbia tutte perfettamente funzionanti…

Infine, ancora un esempio. Per lavorare nella scuola dell’infanzia, una certificazione linguistica in inglese di livello C1 – che in sostanza corrisponde quasi a un cittadino madrelingua – dà diritto a un punteggio maggiore. E certo, perché per insegnare ai bambini dai 3 ai 5 anni si deve poter leggere il “Dorian Gray” di Oscar Wilde con accento impeccabile o essere in grado di tenere una conversazione col ministro degli Affari Esteri inglese.

Ma tant’è…in Italia va così. Tutti di corsa a “comprare” certificazioni e ad accumulare carta su carta. Il vero problema è che purtroppo non basteranno mai. Se anche accumulassimo Eipass, Ditals e Delf, potrebbe arrivare qualcuno a chiederci, per un concorso in banca, nelle poste o nella scuola, una certificazione in musicoterapia, in cristalloterapia e altre simili abilità oscene. Possibile non averne una, di questi tempi?

2 Risposte a “LA TRUFFA ITALIANA DELLE CERTIFICAZIONI (CHE NON CERTIFICANO UN BEL NIENTE)”

  1. Ma quindi per chi come me, non ha nulla di questi “coesi” e non vuole farne nemmneno iuno, anche perché non ho molri soldi, non mi prenderanno mai? e quindi non a senso fare il conconcroso Ata?

  2. Studiare, studiare, studiare…..E’ la conoscenza il valore aggiunto. Quando si fa un colloquio almeno sappiamo di cosa stiamo parlando. Eccola la chiave di Volta….

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