di Trifone Gargano
Un Classico, si sa, appartiene a chi legge. Sono i Lettori, infatti, piccoli o grandi che siano, che danno vita al loro Autore, al loro Classico. Di conseguenza, non esiste un solo Autore, o un solo Classico, ma 10, 100, 1000 Autori e Classici, con identità differenti, a seconda di chi legge. Anche Gianni Rodari, al pari di ogni altro Classico, ogniqualvolta un Lettore apre un suo libro, e legge una sua storia, ri-nasce, ri-prende vita, e assume volto e identità nuovi.
Ricordato e celebrato come il nostro maggior scrittore di favole del XX secolo, Autore a tutto tondo, senza più alcuna limitazione di pubblico, Gianni Rodari (1920-1980) è stato maestro, pedagogista, scrittore, poeta, giornalista, autore di testi teatrali e di programmi televisivi. Egli ha saputo rendere la letteratura per l’infanzia una letteratura adulta, liberandola dallo scaffale dei libri per bambini, e facendola circolare ovunque. Ciò che infatti distingue la sua produzione letteraria sta proprio nell’atteggiamento di fiducia nelle capacità “adulte” del bambino, nella sua non sottomissione al mondo dei grandi, ma, al contrario, nella consapevolezza che il bambino possa dare una lezione, un insegnamento anche ai grandi. Nel 1970, Rodari ricevette il prestigioso premio «Andersen», che diede alla sua opera una visibilità mondiale. In quella circostanza, nel discorso che tenne per il conferimento del premio, sottolineò proprio la capacità della fiaba di farsi strumento per entrare nella realtà, e per orientarsi in essa, tentando strade nuove:
«una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un vero scienziato, per immaginare cose che non esistono ancora e scoprirle, per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo»,
sottolineando che la
«fiaba è il luogo di tutte le ipotesi, essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo, gli può dare delle immagini anche per criticare il mondo. Per questo credo che scrivere fiabe sia un lavoro utile».
La fiaba, dunque, come il «luogo di tutte le ipotesi». Occorre superare un altro fraintendimento piuttosto diffuso, intorno all’opera di Rodari, e cioè che i suoi libri (e la Grammatica della fantasia in modo particolare) siano il frutto di un’applicazione meccanica di giochini linguistici e di tecniche combinatorie. Riducendo, così, Rodari a semplice inventore di libri giocattolo, privi, cioè, di una qualsivoglia morale, e privi anche di un orientamento etico e culturale. Così non è, e non è mai stato, nelle intenzioni di Rodari. Tutte le sue filastrocche, tutte le sue storie, tutte le sue favole «a ricalco», tutte le sue invenzioni fantastiche, hanno sempre avuto (e hanno) una forte ragione etica e civile. Il suo mondo creativo veicola messaggi di pace, di convivenza pacifica, di anti-militarismo, di rispetto dell’ambiente, di cittadinanza attiva (come diremmo noi oggi, con un lessico post-moderno). Giovannino Perdigiorno, per esempio, che è uno dei suoi più celebri personaggi, con i suoi viaggi, e con il suo perenne peregrinare, non è solo la versione moderna di un piccolo Gulliver. No, Giovannino, con la sua ansia di girare per il mondo, e per l’universo intero, ricorda tanto la poesia Girovago di Ungaretti, e la sua instancabile e tenace ricerca del «paese innocente», nel quale, finalmente, vivere in armonia e in pace.
Tra ironia e leggerezza, Giovannino Perdigiorno attraversa paesi e mondi, finanche pianeti e galassie, ma non riesce, purtroppo, mai a trovare quello nel quale fermarsi. In tutti i mondi visitati, egli, infatti, sperimenta una mancanza, una sofferenza, una inquietudine, una paura, che lo spingerà, di volta in volta, a riprendere il viaggio. In alcune pagine, le lamentele di Giovannino Perdigiorno ricordano anche le parole deluse e amare dell’Islandese, nel Dialogo di Giacomo Leopardi; anche lui, ricorderete, deluso nella ricerca di un paese, di un luogo sulla Terra, dove fermarsi, e dove vivere in pace, con sé stessi, con gli altri uomini, e con la Natura.
Giovannino, comunque, alla fine della storia, quando ha girato in lungo e in largo il mondo e l’universo, sa di poter affermare con certezza due cose.
La prima, che nella vita, anche in quella di un bambino, non può esserci spazio per l’indecisione, così come gli è capitato di osservare nel Paese del «Ni». Giovannino afferma che ha imparato che non si può essere indecisi, nelle piccole come nelle grandi scelte della vita. Egli dice di sapere che non si può restare indifferenti dinanzi alla pace o alla guerra. Dinanzi a simili interrogativi, Giovannino (Rodari) ammonisce che non sia giusto rispondere con un vigliacco «Ni».
Rodari, con questa storia, regala al Lettore, piccolo o adulto che sia, una bella lezione di Educazione civica, dicendo che non si possa restare indifferenti e indecisi. E questo lo afferma con parole precise:
«A questo insulso paese
io dico tre volte no»
«Insulso paese», così Giovannino definisce il Paese dove gli abitanti non prendono posizione, dove non si schierano e dove rispondono sempre «Ni». Dante Alighieri, nel canto III dell’Inferno, aveva pronunciato, in maniera solenne, e per primo, la condanna nei confronti degli indifferenti (gli ignavi), rappresentati tra sospiri, pianti e lamenti:
[…] l’anime triste di coloro
che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo (vv. 35-6)
Gli ignavi sono i primi dannati che Dante incontra; ed è una categoria di peccatori che s’inventa lui, non prevista cioè dall’etica cattolica (e nemmeno aristotelica): son coloro che in vita non fecero del bene, ma nemmeno del male. Coloro, cioè, che vissero senza prendere posizione, senza schierarsi mai per nessuna causa (ecco perché Dante li immagina che corrono, nudi e perseguitati da pioggia mista a grandine e da insetti, dietro uno straccio bianco). Vissero senza ideali, senza mai schierarsi. Dante ritiene che questo sia un’orrenda colpa, perché nella vita, egli ammonisce, occorre schierarsi, prender posizione, pur rischiando di sbagliare, è ovvio, ma mai restando indifferenti, dinanzi al Bene e al Male.
Alla stessa maniera, nobilmente, Rodari, con la storiellina di Giovannino perdigiorno, che sdegna e abbandona il Paese del «Ni», trasmette ai suoi lettori lo stesso messaggio etico di Dante, di tenere cioè nella propria società un comportamento di impegno civile e attivo, prendendo posizione, dinanzi alle piccole, come alle grandi scelte della vita, non rimanendo indifferente.
La seconda certezza di Giovannino, alla fine dei suoi viaggi, è che egli sa di non aver perso l’allegria, nonostante tutto. Nei suoi libri, Rodari ha sempre affrontato tematiche impegnate, trattandole in maniera leggera, ma tenendole sempre ben strette e ben ancorate alla realtà quotidiana. Rodari era convinto che con i bambini si potesse (e si dovesse) parlare di tutto, e che proprio dai bambini giungesse, a noi adulti, una grande lezione di realismo fantastico:
Coi bambini si può parlare di tutto, del terrorismo, dell’inquinamento, della bomba atomica, dei rapporti coi genitori […].
Il cantautore Sergio Endrigo (1933-2005), a metà degli anni Settanta, avviò con Gianni Rodari una fruttuosa collaborazione artistica, che portò alla registrazione nel 1974 di un album tra i più belli della storia della canzone italiana, Ci vuole un fiore, che contiene brani realizzati tutti su testi di Gianni Rodari. I temi dell’ecologia, del rispetto dell’ambiente, della pace e dell’antimilitarismo trovavano spazio in queste splendide canzoni, che hanno accompagnato l’infanzia di generazioni intere di studenti, e che ancora sono vivissime e popolari, nelle aule scolastiche.
Per approfondire:
• testo del canto III dell’Inferno:
https://it.wikisource.org/wiki/Divina_Commedia/Inferno/Canto_III
• canzone Ci vuole un fiore:
https://www.youtube.com/watch?v=UG_8b6WJqvI
• testo della canzone Ci vuole un fiore:
https://www.filastrocche.it/contenuti/ci-vuole-un-fiore/
• il giovane cantautore Brunori sas, con la canzone Don Abbondio, ha posto nuovamente l’accento, nel nostro tempo, sul rischio di vivere in maniera indifferente, dinanzi alle cose del nostro mondo:
https://www.youtube.com/watch?v=ERY0qM8SmYk
• testo della canzone Don Abbondio:
https://www.angolotesti.it/B/testi_canzoni_brunori_sas_63617/testo_canzone_don_abbondio_2152906.html
• nel film Braveheart (Cruore impavido), scritto e diretto da Mel Gibson, e uscito nel 1995, che narra l’epica lotta del popolo scozzese contro la tirannia inglese, romanzando la vicenda del patriota scozzese William Wallace, del XIII secolo, uno dei personaggi principali è Robert Bruce, XVII conte della sua famiglia e tra i maggiori pretendenti al (futuro) regno di Scozia, eternamente dilaniato tra il desiderio di prendere posizione a favore della ribellione popolare scatenata da Wallace, e i calcoli politici di guardinga prudenza cui, invece, lo richiama l’anziano (e lebbroso) padre, del quale è succube, che gli intima di non prendere mai posizione, né a favore di Wallace, e né contro il re d’Inghilterra, il temibile Eduardo I Plantageneto. Riportiamo qui il link all’episodio del drammatico dialogo tra Bruce e suo padre, nel quale l’anziano e morente genitore richiama il figlio alla pratica dell’oscura e difficile arte del compromesso, in modo da non schierarsi mai, da non esporsi, esattamente come hanno fatto, gli ricorda il padre con un ghigno di soddisfazione, prima di lui, tutti gli altri sedici conti di Bruce, trasmettendo a lui potere, proprietà e terre:
https://www.youtube.com/watch?v=obfOBcbe9yI
• testo della poesia Girovago di G. Ungaretti:
https://www.fareletteratura.it/2016/01/18/analisi-del-testo-e-parafrasi-girovago-ungaretti/
• scheda didattica su I viaggi di Gulliver di J. Swift:
https://it.wikipedia.org/wiki/I_viaggi_di_Gulliver
• testo del Dialogo della Natura e di un Islandese di G. Leopardi:
http://www.leopardi.it/operette_morali12.php