di Carmela Moretti
A guardare i film controversi è opportuno andarci con gli affini di mente e di spirito. I soliloqui non accrescono quasi mai il sapere, mentre è il dibattito che getta luci sulle ombre e contribuisce a costruire prospettive e orizzonti.
È ciò che è accaduto a me con il film “Napoleon” di Ridley Scott, che ho visto al cinema con l’ottima compagnia degli amici Marco Sangiorgi, docente di Lettere in pensione, e Rita Vitiello, professoressa di Lettere e mia collega. Tutto il viaggio di ritorno dal cinema a casa – 25 km, percorsi in auto in una fredda domenica pomeriggio – ci ha visti coinvolti in un’appassionata discussione sulla qualità del film, sulle scelte del regista, sull’interpretazione degli attori, ma soprattutto sull’esegesi della figura di Napoleone, vista attraverso gli occhi di Scott.
Tutto questo per dire che quanto esporrò è il frutto di questo dibattito, che ha avuto il merito di aggiungere importanti significati alla mia personale lettura del film.
Comincerei, dunque, con un consiglio: bisogna recarsi al cinema scevri di qualsiasi aspettativa. Coloro che pensano di assistere all’epopea del grande generale francese ne usciranno a bocca asciutta. È probabilmente questo il motivo per cui il film non sta incontrando un parere univoco da parte del pubblico.
Scott non dà al protagonista alcuna grandeur; anzi, a tratti la sua lettura rischia di apparire anti-napoleonica. Tra il Napoleone uomo, il Napoleone politico e il Napoleone militare, grande spazio viene dato al primo, ma l’imperatore francese ne viene fuori demitizzato. È goffo, ansioso, talvolta ridicolo, insicuro più di quanto ognuno di noi lo sia nelle incombenze della propria quotidianità. Di fronte agli eventi cruciali della sua esistenza – quelli che hanno contribuito appunto a crearne il mito – appare quasi una marionetta in balìa degli eventi, a cui si lascia andare senza opporvi il vigore che ci aspetteremmo.
“È un Napoleone decadente”, sottolineano i miei due “compagni di visione”; i quali, mi fanno notare un aspetto a cui non avevo prestato attenzione: anche la fotografia è tale, con una prevalenza di colori scuri, il blu su tutti. Nel film non c’è quasi mai luce. Decadente è, dunque, un aggettivo più che appropriato, a cui aggiungeremmo anche “patetico” in alcuni punti, soprattutto nel suo rapporto con Giuseppina.
In realtà, sebbene l’aspetto privato sia quello predominante all’interno del film, a ben guardare neanche esso è adeguatamente messo a fuoco. I dialoghi tra Napoleone (l’attore è Joaquin Phoenix) e Giuseppina sono lapidari, i due personaggi non diventano mai persone, l’imperatrice (brillantemente interpretata da Vanessa Kirby) è loquace più con lo sguardo e con il ghigno che con le parole, proprio come fanno le maschere carnascialesche.
Totalmente sullo sfondo, poi, è l’aspetto politico della storia, che viene appena abbozzato quasi fosse un elemento secondario dell’ ascesa napoleonica.
Più delineato è, invece, l’aspetto militare; le scene di guerra sono senza dubbio ben fatte e avvincenti, rese tali anche grazie agli effetti della computer grafica.
Allora, in definitiva, cosa vuole essere questo film, che a mio parere è sicuramente riuscito? È difficile dirlo, perché è quasi impossibile ingabbiarlo in una qualche etichetta o specifica definizione. Di certo, conoscendo Scott, l’esito controverso è voluto e calcolato. Il regista non ne ha voluto fare un kolossal, ma sembra piuttosto voler parlare a ciascuno di noi, al nostro ego capace di raggiungere vette insperate e anche precipizi non calcolati.
Questo film – attraverso la storia di un uomo che ha portato alla morte circa un milione e mezzo di vittime civili e oltre tre milioni di combattenti caduti – sembra volerci dire questo: se la mediocrità è miserabile, lo è ancor di più l’ambizione sfrenata, che conduce quasi sempre alla distruzione propria e altrui.
complimenti per l’articolo, approfondito e piacevole