Il lunedì con la scienza. IMMORTALITÀ DELL’ANIMA? ECCO COSA DICE LA SCIENZA

di Giacomo Losavio, neurologo e neurofisiologo clinico 

La dottrina di Epicuro sulla morte è semplice ed immediata. Il problema non è il fatto del morire, ma la paura della morte, quel sentimento che tanto ci turba e ci impedisce di raggiungere la serenità interiore. Come combatterla? La soluzione di Epicuro è questa: “Quando ci siamo noi, non c’è la morte”. E viceversa.

Nonostante la consapevolezza e la paura della morte, gli esseri umani sono concepiti per pensare a loro stessi come immortali. Uomini e donne di tutto il mondo, indipendente dalla loro religione o cultura, sono certi che gli esseri umani siano eterni.

Uno studio della Boston University ha fatto luce sulla diffusa credenza che l’anima, o l’essenza di una persona, trascende dopo la morte del corpo fisico. Gli scienziati pensano che tale convinzione emerga in noi nei primi anni di vita ed è parte della nostra natura umana, piuttosto che una nozione imposta alla persona da una cultura o una credenza religiosa.

Gli studiosi in passato per un lungo periodo hanno pensato che le persone sviluppano la credenza nella vita dopo la morte attraverso l’esposizione culturale o religiosa, questa ricerca invece ha mostrato che le idee sull’immortalità emergono dalla nostra intuizione.

Lo studio è stato realizzato intervistando 238 bambini provenienti da culture molto diverse in Ecuador, quella indigena e quella cattolica, esaminando il loro parere sul tempo prima della nascita, dato che in entrambi i contesti non sono presenti idee sulla pre-vita, ma che essa inizi solo al momento del concepimento. I ricercatori hanno pensato che se le influenze culturali sono fondamentali per la credenza nell’immortalità, entrambi i gruppi di bambini, indigeni e cattolici, avrebbero dovuto rifiutare l’idea che la vita possa esistere in qualche forma prima della nascita biologica.

La Emmons ha mostrato ai bambini una serie di disegni nei quali erano raffigurati un bambino, una giovane donna e la stessa donna durante la gravidanza. Poi ha fatto loro una serie di domande sui pensieri e le emozioni del bambino durante ogni periodo. I risultati sono stati sorprendenti, in quanto entrambi i gruppi hanno dato risposte molto simili. I bambini hanno giustamente sostenuto che il corpo non esisteva prima della nascita e che non avevano la capacità di pensare o di ricordare. Tuttavia, entrambi i gruppi hanno anche detto che le emozioni e i desideri del bambino esistevano prima della sua nascita!

Sebbene i bambini generalmente hanno riferito che il nascituro non avendo gli occhi non poteva vedere le cose prima della nascita, hanno anche detto che questi era felice, perché avrebbe presto incontrato la madre o che era triste perché era separato dalla sua famiglia. «Anche se i bambini avevano conoscenze biologiche sulla riproduzione, sembravano convinti che l’individuo esistesse precedentemente in una forma eterna e che tale forma comprendesse emozioni e desideri», spiega la Emmons. Quindi, secondo il parere dei bimbi, non è tanto la nostra capacità di pensare ad essere eterna, ma i nostri desideri e le nostre emozioni, cioè quello che sentiamo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Child Development, si inserisce in un crescente campo di ricerca teso ad esaminare le radici cognitive della religione. «Lo studio dimostra che è possibile per la scienza studiare il credo religioso», ha sottolineato Deborah Kelemen, professoressa associata di Psicologia presso la Boston University e coautrice dello studio. «Allo stesso tempo, ci aiuta a comprendere alcuni aspetti universali della cognizione umana e della struttura della mente». Studi simili sulla possibilità di una vita ultraterrena ha rivelato che bambini e adulti comunemente ritengono che alcuni bisogni corporali, come la fame e le emozioni continuino in qualche forma anche dopo la morte, a prescindere dalle culture di provenienza. L’idea che l’anima sopravviva al di fuori del corpo, sebbene non sia scientifica, è profondamente naturale. «Io studio queste cosa per vivere. So che la mia mente è un prodotto del mio cervello, ma mi piace ancora pensare a me stessa come qualcosa di indipendente dal mio corpo», conclude la Kelemen.

 

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