“IO POSSO” DI PIF E MARCO LILLO: UN RESOCONTO DI MAFIA E CATTIVO STATO

di Marco Zappacosta

È nelle librerie da qualche settimana Io posso, edito da Feltrinelli, l’ultimo libro di Pif e Marco Lillo, giornalista de Il Fatto Quotidiano.

Il titolo è emblematico e se ci si aggiunge “… e tu no” già si può entrare nella logica della storia raccontata. In queste parole, infatti, può nascondersi una grande ingiustizia: spesso le persone perbene si trovano bloccate da leggi e regolamenti asfissianti e iniqui, invece criminali e violenti possono agire, spavaldi, senza particolari intralci.

Si tratta di una storia vera ma che assume dei tratti davvero surreali, una lettura adatta a chi è interessato alla mafia e a come questa possa cambiare la vita di persone comune e “piccole” rispetto al grande sistema dello Stato.

Una storia il cui finale è ancora da scrivere e di cui possiamo essere anche noi lettori parte attiva.

Le protagoniste di questa storia sono le sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu, palermitane di origine sarda: residenti in una modesta casetta a Palermo in Piazza Leoni, alle porte del Parco della Favorita, presso l’omonimo stadio, hanno resistito per circa trent’anni alle pressioni di un palazzinaro legato a Cosa Nostra, Pietro Lo Sicco, interessato a costruire proprio in quella zona dei giganteschi condomini.

La zona era molto ambita perché in mezzo al verde e dai suoi palazzi sarebbe stato possibile vedere panorami mozzafiato.

La strategia attuata da Lo Sicco era efficace e funzionale: corrompendo le giuste persone ed elargendo cifre per lui di poco conto ma significative per chi le riceveva, si era accaparrato quasi tutta Piazza Leoni così da poter aprire i cantieri, senza alcun rispetto per le case antiche già esistenti e per i residenti.

Tutto stava filando liscio fino al momento in cui non si imbatté nella caparbietà e nel coraggio delle sorelle Pilliu, non disposte a cedere la loro proprietà.

Da quel momento Lo Sicco procedette con pressioni e ingiustizie che sembravano infinite: tra le molte riportate nel libro, è opportuno ricordare i numerosi bidoni di calce alle due sorelle e le corone di fiori che solitamente si usano per i lutti, che Maria Rosa e Savina si sono viste fuori dalla loro abitazione.

Le due protagoniste, proprietarie di una piccola attività commerciale ancora oggi esistente, e purtroppo non molto frequentata, hanno però reagito e, tramite un avvocato che le ha seguite per tutti questi anni, si sono difese sporgendo quarantaquattro denunce tra il 1993 e il 2007, il cui elenco viene fedelmente riportato sul libro.

Tra i nomi noti che si interessarono a questo caso ci fu Paolo Borsellino, che incontrò tre o quattro volte (le sorelle non ricordano precisamente) le Pilliu e che prese su un’agendina (forse rossa?) qualche appunto. Purtroppo non ci fu un grande seguito, facile immaginare il motivo. Anzi, il caso ha anche rischiato di essere archiviato.

Con poca difficoltà, Lo Sicco si era autodichiarato proprietario dell’intera zona, iniziando la costruzione del palazzo, ovviamente in maniera abusiva: dei sette piani in progetto, ne realizzò effettivamente poi nove, mettendo a rischio l’esistenza stessa della piccola abitazione delle sorelle Pilliu. Ironia della sorte, le due sorelle abitano oggi in un appartamento con vista su ciò che resta della loro proprietà e che molto probabilmente ha ospitato il mafioso Giovanni Brusca nel periodo della latitanza.

A quest’ultimo episodio possiamo collegare il titolo del libro: Pietro Lo Sicco è uno di quelli che effettivamente può dire ‘’Io posso’’: lui ha potuto autonomamente dichiararsi proprietario di una zona non sua, mentre le persone perbene non possono farlo con questa semplicità e con questa sfrontatezza. Lui ha ottenuto un ingente mutuo da 10.3 miliardi di Lire dalla Sicilicassa senza particolari problemi; le difficoltà per i semplici cittadini sono invece note.

A difendere il costruttore c’era un noto avvocato palermitano, divenuto poi presidente del Senato, Renato Schifani, il quale, tra le svariate argomentazioni in difesa del suo assistito disse anche che in realtà Lo Sicco stava facendo ciò che prima o poi il Comune di Palermo avrebbe comunque dovuto fare per pubblica sicurezza, cioè abbattere degli edifici pericolanti.

Nel 2000 il suo partito, Forza Italia, avrebbe presentato un emendamento che permetteva all’amministratore dei beni confiscati di riattivare il condono anche se scaduto.

Nonostante questi interventi, Lo Sicco viene condannato al pagamento di 758.934 euro in favore delle due sorelle come risarcimento per i danni subiti.

Soldi che le Pilliu non hanno ancora visto e che molto probabilmente non vedranno mai.

A questo punto, la beffa: lo Stato chiede il ‘’pizzo’’ alle sorelle Pilliu, 22.842 euro di tasse, ossia il 3% della suddetta cifra.

Secondo la legge la prassi è proprio questa e non prevede eccezioni, nemmeno se non viene dato nemmeno un euro della cifra stabilita.

A nulla sono valsi gli interventi, anche recenti, di ministri e sottosegretari: la legge non prevede, neanche in questo caso, alcuna eccezione.

Ma è proprio questo il finale da scrivere: gli autori, Pif e Marco Lillo, intendono donare l’intero guadagno della vendita del libro al pagamento di questa ingiusta tassa cercando di far ottenere alle due sorelle, divenute ormai anziane, lo status di vittime di mafia (per un altro cortocircuito legale non ottenuto). L’obiettivo più difficile da raggiungere, ma forse per questo più bello, è ristrutturare la casetta Pilliu, ridotta ormai come nel film Up della Disney a un piccolo essere in mezzo a dei giganti, e concederne l’uso a un’associazione antimafia.

Obiettivo facilmente raggiungibile se noi, lo Stato, partecipiamo.

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