“A CLASSIC HORROR STORY”. UN ORIGINALE PUZZLE DI CLICHÈ

Se sei un personaggio di un film horror non devi mai e poi mai viaggiare in camper. La tragedia sarebbe assicurata. Non importa che tu sia nei deserti texani di “Texas chainsaw massacre” (Non aprite quella porta) o nel Nevada di “Le colline hanno gli occhi”. E non importa neanche che non sia negli Stati Uniti, ma nella boscosa Calabria di “A classic horror story”, film prodotto e pubblicato da Netflix nel mese di luglio.

a classic horror story
Locandina del film

Il cinema horror, notoriamente, vive di cliché, di elementi ricorrenti che alla lunga possono stancare, soprattutto in caso se ne faccia abuso, ma che sono, a tutti gli effetti, un marchio di fabbrica del genere. Lo sa bene Roberto De Feo che, sui cliché del cinema dell’orrore, ha costruito, insieme a Paolo Strippoli, proprio il già citato film Netflix.

La storia di “A classic horror story” è tra le più comuni.

O, almeno, così sembra. Tra i protagonisti, Elisa, ragazza calabrese alle prese con la difficile decisione dell’aborto, Riccardo, medico taciturno e scontroso a causa dei rimpianti per carriera rovinata da un errore letale, Fabrizio, appassionato di cinema, e una coppia di ragazzi stranieri, lo statunitense Mark e l’ucraina Sofia. Ragazzi conosciutisi lungo il viaggio verso l’entroterra calabrese. A causa di un incidente, rimangono bloccati in un ambiente che cela terrificanti e letali segreti.

L’intero lungometraggio fa ampio uso di cliché. Come, per fare giusto un esempio, le porte che sbattono improvvisamente, espediente usato e abusato, specialmente nei film sui fantasmi o sulle possessioni demoniache, fino alla nausea, fino a diventare ridicolo. Tanto che, fortunatamente, negli ultimissimi anni, si era vista una diminuzione dell’uso di questo espediente. Che, invece, non è disdegnato nel film di Strippoli e De Feo . E non certo per una distrazione dei registi. De Feo, infatti, l’horror lo conosce. È al suo secondo lungometraggio, dopo l’intrigante “The nest – Il nido” del 2019, che valse al giovane regista barese una candidatura come miglior regista esordiente ai Nastri d’argento 2020.

"The nest - Il nido" di Roberto De Feo
“The nest – Il nido” di Roberto De Feo

Per gli amanti dell’horror, il film è altamente consigliato.

Prendendo spunto dai più classici film horror del cinema italiano e internazionale, inganna lo spettatore proponendo una storia horror classica, ma che in realtà non lo è. Riuscendo ad essere originale nonostante sia un puzzle di cliché. Anzi, traendo proprio da quei cliché la sua originalità, giocandoci quasi spudoratamente. Non solo. Un’altra divertente particolarità del film è il rivelare costantemente indizi su quella che sarà la verità finale, spoiler, per dirla con neologismi anglofoni. Ma senza che lo spettatore se ne accorga. Un po’ come quando Dario Argento, per un’impercettibile frazione di secondo, mostrava il vero volto dell’assassino, prima che quest’ultimo fosse rivelato allo spettatore.

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