IL SEGRETO DELLA MEMORIA – Perché i nostri ragazzi imitano Genny e dimenticano Giovanni

di Cosimo Dellisanti

Venerdì scorso sono entrato in classe, una quarta, e ho fatto una domanda. Una domanda semplice, quasi buttata là. «Ragazzi, domenica è il ventitré maggio. Cosa ricordiamo?» ho detto; la non-risposta dei ragazzi, i loro sguardi perduti, le loro spallucce mi hanno raggelato e irritato insieme.

Un anno di educazione civica gettato all’aria, ho pensato.

«Andiamo, ragazzi, cos’è successo il ventitré maggio di ventinove anni fa?»

«Eh, prof,» ha detto uno dei più spigliati, «è morto qualcuno d’importante.»

«Ne abbiamo parlato un sacco nel primo quadrimestre, in educazione civica.»

«Eh, prof, come si chiama… Giuseppe Falcone e la moglie, che li ha uccisi la mafia.»

«Giuseppe Falcone…» ho ripetuto io, e sotto la mascherina sorridevo, ma d’amarezza. Lo studente s’è zittito. Devo averlo squadrato come un quarto di bue da squartare, dal mezzobusto alla capoccia. Ha il doppio taglio alla maniera dei trapper, come quasi tutti i maschi in classe.

Ho chiuso là il discorso e ho fatto lezione di malavoglia. Alla campanella, sono tornato a casa e ho ripensato alla mia sconfitta da prof, e mi sono chiesto perché un ragazzo di diciassette, diciotto anni dovrebbe fregarsene di Giovanni Falcone. Per gli studenti nati dopo il Duemila Giovanni Falcone è solo un nome su un libro di storia, come Ghandi, Martin Luther King e Mandela.

Studiano (per chi lo fa), stiracchiano il sei, dimenticano e passano al prossimo argomento.

E anzi, è già tanto che si ricordino il cognome di Falcone e che sia Stato ucciso dalla mafia, ma tredici ore di educazione civica a scuola per quadrimestre sono niente in confronto al bombardamento mediatico di notizie orripilanti in tivù, alla bulimia di serie televisive crime e all’onnipresenza di trapper sui social.

Alcuni, è risaputo, auspicano la censura alla trap, a Gomorra, a Narcos et similia. Ora, premettendo che per chi scrive la censura è sempre un errore (quale che sia il nobile intento dei censori), col Proibizionismo otterremmo soltanto di rendere più appetibile certi prodotti che – badate bene – non “corrompono” solo gli adolescenti: una volta, alla stazione di Taranto, ho assistito alla sceneggiata di un parcheggiatore abusivo che estorceva il caffè agli automobilisti imitando Ciro l’Immortale.

E poi, diciamolo forte, basta con le Sante Inquisizioni ipercorrette e roghi virtuali!

Del resto, in un mercato dell’intrattenimento come quello di oggi, trapper e tele-camorristi sono mode con la data di scadenza tatuata sul coccige; piuttosto, interroghiamoci sul modo di fare Memoria. Di fatto, noi imponiamo ai ragazzi di ricordare, senza chiedere loro perché, e il perché degli adolescenti si chiama emozione. Chiediamo di fare il compitino per un voto, quando dovremmo far sentire loro il dramma della lotta alla mafia, e la vicinanza della morte, e il senso dell’impotenza, e la solitudine che si porta dietro una scelta di vita come quella di Falcone.

Piuttosto rispolveriamo l’innata capacità dell’Uomo di raccontare storie. Ben vengano altri libri e nuovi film su Falcone e Borsellino e sulle loro scorte e sugli altri eroi, ma che siano finalmente scritti, prodotti e recitati con più impegno, e soprattutto che siano lontani dalle innocue agiografie oleografiche a cui ci ha abituato la tivù di Stato.

Quanto a noi prof, impariamo a coinvolgere il nostro “pubblico”. Dobbiamo trasformare le nostre lezioni frontali in veri e propri cicli a episodi, narrando col ritmo giusto, che rimanga impresso. Non è impossibile. Dobbiamo emozionare, prima di istruire. Non è semplice, non siamo tutti scrittori o teatranti, ma ogni giorno chiediamo ai nostri studenti di impegnarsi a migliorarsi: pretenderlo anche da noi stessi è il minimo, e se saremo in grado di agganciare prima la pancia e il cuore dei ragazzi con le giuste emozioni, allora sarà un giochetto conquistare anche le loro teste.

Del resto, con la memoria non rievochiamo nozioni, ma emozioni.

Vignetta di Martino Brescia

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