IL CATTIVO POETA, scritto e diretto da Gianluca Jodice, 2020

di Francesco Monteleone

Imbavagliati dalle mascherine, sistemati in posti contingentati, separati forzatamente da congiunti e amici, ritorniamo a cinema con entusiasmo, perché i film si devono gustare in sala, non davanti alla dis-evocativa televisione. Purtroppo ci capita un film insufficiente che genera una sofferenza estetica allungata al giorno dopo e, per liberarcene, dobbiamo esprimere le aspre critiche.
Il regista Jodice, che purtroppo non si è fatto aiutare nella sceneggiatura, ha preferito narrare una sottospecie di storia clinica di Gabriele D’Annunzio, negli ultimi tempi della sua pupazzesca esistenza.

La figura narrante è quella di Giovanni Comini, giovanissimo federale di Brescia dal 1936, il quale appesantisce tutta la narrazione con insicurezze e sensi di colpa recitati male. In questo mediometraggio, esclusa la diffidenza di D’Annunzio verso il fascismo di Mussolini, non c’è niente di istruttivo. Non si dà forma e sostanza alla personalità contorta di un personaggio (purtroppo) influente nella storia d’Italia novecentesca. E la sua mitologia sessuale, che tanto piace agli studenti, è una scelta prevedibile, ma noiosa. In realtà, la voracità sessuale di Gabriele D’Annunzio non fu superiore a quella di Napoleone, Alessandro Magno, Berlusconi, Charlie Chaplin, Bertrand Russel ecc. ecc. e sinceramente non ce ne frega niente di niente. La vita è personale; agli studiosi e agli spettatori interessano i paradigmi politici, morali, artistici degli uomini illustri. Perciò i vizi del Vate sono una stupidissima letizia cinematografica; inoltre nel biopic del cattivo poeta si capisce poco, anzi niente, della sua arte letteraria che lo rese esageratamente popolare tra i ceti antipopolari.

Il film è privo di una fotografia ammirevole, si svolge in poche locazioni, non ha grandi attori e lo stesso Castellitto, dovendo interpretare uno psicotico, cade in un abisso di espressioni ripetitive. Il ‘Vittoriale’ (la locazione preferita per risparmiare sui costi) è oggi uno dei musei più brutti d’Italia. Ai tempi suoi era già una casa piena di migliaia di oggetti personali, di patacche classicheggianti, di tessuti soffocanti ecc. che a spolverarli non sarebbero bastate 30 cameriere (per non parlare del luna park formato da automobili, navi, aerei di guerra imbalsamati nel giardino…)
Nel film è fuorviante anche la morte di D’Annunzio che, se non ci sbagliamo, fu seccato da un ictus, mentre mangiucchiava qualcosa in un piccolo studioso. E le sue ultime donne, una pianista e una governante maliziosa, sembrano badanti impegnate ad assistere un settantenne con quoziente di d’intelligenza in diminuzione progressiva. Infine, lo scenografo (è sempre lui, Jodice) è responsabile di una penosa dimenticanza; non ha lasciato sul tavolo di lavoro di D’Annunzio il mezzobusto scolpito di Eleonora Duse che il poeta teneva costantemente coperto da un velo, per una ragione che spiegano molto bene le guide turistiche del Vittoriale. Volete conoscerla? Risparmiate i soldi, fatevi i due vaccini obbligatori e andate in gita a Gardone Riviera, anche perché è stato finalmente ultimato l’anfiteatro che Mussolini non volle finanziare. E ora don Gabriele può riposare in pace.

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