di Francesco Monteleone
Uscendo con gli occhi lucidi dal cinema, mentre nello spiazzale della stazione ferroviaria un’ignota umanità andava a caccia della notte, ho incrociato 3 sedicenni con occhiali firmati, orecchini e tatuaggi ben messi che si stavano spingendo al largo con un paio di canne di Marijuana. Sentendomi un fresco sapiente di letteratura avrei voluto dir loro di investire un paio di ore sull’ultimo film di Pupi Avati (tra tutti quelli che ho visto il più ‘mistico’) ma sono sicuro che mi avrebbero mandato a cagare. (E io alla loro età avrei fatto lo stesso nei miei confronti).
Infatti è roba da eruditi lasciar lacrime in platea vedendo Giovanni Boccaccio, partito nel 1350 d.c. da Firenze e accolto dopo 6 giorni in un convento di Ravenna, che dice a suor Beatrice, figlia dell’Alighieri: “Io a vostro padre devo l’amore per la poesia”, ovvero gli devo la luce nel buio della mia vita.
E bisogna aver studiato tanto per capire la straordinaria montatura di questa opera d’arte che ci fa rivivere in una sublime atmosfera antirealistica l’impresa ‘impossibile’ realmente vissuta dall’autore del Decameron.
Pupi Avati invecchiando, cresce; questa volta ha voluto inserire noi tutti in un percorso formativo che ci faccia riprovare il desiderio di guardare il passato, di contemplare Dante, di levarci le lenti artefatte della civiltà merceologica per riprovare la perduta spiritualità medievale.
Quanto sia bello questo film fatevelo dire dai vostri occhi; è un lungometraggio dipinto. Ogni inquadratura sembra un affresco arricchito con le eccezionali figure di attori dal grande passato, Castellitto per primo, che nella recitazione non hanno mai peccato di vanità, né ceduto agli stereotipi del cinema commerciale.
In ‘Dante’ sono evocate con immagini e sequenze splendide: la stimmata dell’esilio, l’amarezza di un’amicizia commutata in odio, i detriti e le falle della storia, la fragilità dell’amore puro.
E poi c’è la purezza della poesia erotica e c’è chi, come me, preferisce Cavalcanti; ‘Guido’ per, gli amici veri.