SPIEGARE LA GUERRA AGLI STUDENTI? PUTIN, LE GUERRE PERSIANE E LA TRAGEDIA GRECA

Fjodor Montemurro
Presidente della Società Dante Alighieri di Matera

Sono stati numerosi gli appelli, a cominciare dal ministro dell’Istruzione, che sollecitavano i docenti a interrompere la didattica nelle scuole per dedicare tempo alla discussione in classe della guerra in Ucraina. Mai come questa volta, però, il mondo della scuola ha l’occasione di spiegare la modernità servendosi di una attenta lettura del passato (se ha ancora senso la fortunata formula dell’historia magistra vitae), invertendo quella prassi pedagogica ormai tanto diffusa quanto improvvida che, al contrario, considera l’attualizzazione (spesso forzata) di eventi remoti il metodo più efficace per avvicinare le nuove generazioni ad una più proficua comprensione della storia e della letteratura.

La Storia viene vista dagli studenti come una sequenza infinita di guerre, scatenate spesso con disarmante facilità e con esiti spesso effimeri, anche per i vincitori, inghiottiti dal vortice dei mutamenti culturali, sociali ed economici di ogni epoca. In questo continuo guerreggiare, un posto di rilievo spetta a quel conflitto che cambiò la storia dell’Europa, perché vide per la prima volta scontrarsi tra loro Oriente e Occidente: le guerre Persiane, combattute dalla piccola Grecia per respingere l’invasione dell’esercito persiano all’inizio del V sec. a. C.. Pur essendo di gran lunga superiori per numero, gli asiatici per ben due volte nel giro di dieci anni furono sconfitti. I Persiani erano un popolo ben organizzato, avevano conquistato gran parte dei territori occupati dalle antiche civiltà, ma miravano a espandersi in Europa, e già molte città greche dell’Asia minore pagavano al Gran Re un tributo per continuare a godere della loro sostanziale indipendenza. Non si trattava di un semplice scontro territoriale, ma di due modi diversi di concepire lo Stato, la religione, l’uomo: da un lato il dispotismo del sovrano orientale, un dio in terra, dall’altro la vita civile, libera e partecipata delle poleis (città-stato). Al di là di quanto la vittoria dei Greci sia stata lungamente celebrata come il successo della libertà occidentale sull’oppressione orientale, è sicuro che, se i Persiani avessero trionfato, sarebbero penetrati in Europa e avrebbero forse per sempre cambiato il destino del Vecchio Continente.

La vittoria della Grecia divenne motivo di orgoglio soprattutto per Atene, la città che aveva dato alla causa panellenica il maggior contributo. Il tragediografo greco Eschilo mise in scena nel 472 a. C. la tragedia “I Persiani”, in cui si raccontava, anche con accenti pietosi per gli sconfitti, la disfatta di Salamina del 480 a. C., subita dagli invasori comandati dal re Serse grazie all’abilità strategica di Temistocle, capo della flotta ateniese; a soli otto anni dall’evento che cambiò, insieme alla celeberrima battaglia di Maratona nel 490 a. C., le sorti dell’Europa, il pubblico ateniese poteva rivedersi idealmente sulla scena, poiché quegli spettatori erano stati personalmente artefici sul campo di battaglia di quella gloriosa vittoria.

Sembra che dopo 2500 anni ci ritroviamo, mutatis mutandis, in una situazione molto simile: praticamente la Russia e l’Ucraina paiono riproporre, in scala allargata, il conflitto tra i Persiani e i Greci.

Si tratta infatti, oggi come allora, di uno scontro di civiltà, di un Oriente autocratico e oppressivo, figlio tra l’altro della muscolosa e ingombrante URSS che fino a trenta anni fa soffocava senza remore tutti i paesi baltici e quelli afferenti al Patto di Varsavia, e di un Occidente, certamente oggi più fragile e meno sicuro di se stesso, ma ancora portatore di quei valori di libertà e democrazia garantiti dall’alleanza atlantica (NATO). L’Ucraina non è la Grecia antica delle poleis, ma è tuttavia un paese che pian piano aveva iniziato una transizione verso un modo di vivere occidentale e libero, e puntava ad un progressivo avvicinamento ai paesi dell’Unione Europea con il benestare della potenza americana, le cui responsabilità nello scoppio di questa insana guerra andrebbero indagate con maggiore onestà intellettuale e senza fervore ideologico, come invece sta accadendo. Ma certamente l’Ucraina è geograficamente il ponte tra l’Oriente e l’Europa, come lo era la Grecia, avamposto che avrebbe consentito ai Persiani di espandersi nel nostro Continente e di cambiare le sorti intere della Storia, come rischia di farlo anche questo conflitto attuale, molto più di uno scontro per il possesso di qualche regione economicamente strategica.

Ancora Eschilo nei suoi “Persiani” ci offre grandi spunti di riflessione che in qualche modo ci riportano al presente. Il drammaturgo ateniese, infatti, condanna l’arroganza ingiustificata del re persiano Serse, colpevole di essersi creduto invincibile nella sua autocratica tracotanza (la greca hybris), incurante del destino funesto a cui costringeva il suo popolo. Non v’è chi non veda in Serse un’anticipazione (oseremmo dire “figurale”) del moderno Putin, novello zar dispotico, la cui azione è principalmente dettata da una smisurata volontà di potenza che vuole riaffermare sul piano internazionale il ruolo egemone della Russia.

Ma c’è di più. Ancora ne “I Persiani”, nonostante evidenti intenti propagandistici della nascente potenza ateniese, Eschilo dà voce al dolore e allo strazio che affliggeva all’indomani della sconfitta il popolo persiano, vittima della megalomania del suo re Serse, punito dagli dei per aver voluto sottomettere i Greci, che sull’esercizio della libertà e della indipendenza costruivano la loro esistenza. Analogamente, oggi l’intero popolo russo sta pagando le conseguenze per l’azione arrogante e criminale del suo capo di Stato: nonostante siano condivisibili le sanzioni quotidianamente comminate contro la Russia, è evidente che tutta la popolazione sta subendo un’immeritata e stolida azione di denigrazione e di censura, come se fosse corresponsabile di quanto il suo autocrate sta compiendo.

La Russia, come lo era la Persia antica, non è uno stato di diritto, ma una federazione in cui gli oppositori politici vengono sistematicamente eliminati dalla FSB (ex KGB) con la tacita approvazione del governo; sono tantissimi gli omicidi imputabili ad iniziative riconducibili ai vertici del Cremlino. Le libertà minime, quella sancite dalle carte costituzionali occidentali, non sono garantite: una legge vieta qualsiasi dissenso contro la politica del governo centrale, la contestazione o la presa di distanza dalle azioni del capo dello Stato conducono direttamente all’arresto.

Consapevoli del pericolo che l’Unione sta correndo, pur nelle divisioni che caratterizzano la nostra zoppicante Europa, l’Occidente sembra fare fronte comune contro l’invasione russa. Politici di ogni schieramento e ideologia si sgolano a gridare il loro reciso rifiuto alla guerra e accusano Putin di procedere ad un attentato contro i valori occidentali, seppur qualcuno punti il dito anche contro la provocatoria espansione della NATO fin sotto le mura di casa dell’ex gigante sovietico, le cui aggressioni in Cecoslovacchia e Ungheria furono in passato da più di qualcuno perdonate e giustificate. Questa unanime condanna della Russia trova curiosa analogia ancora ne “I Persiani” di Eschilo: è noto che l’aggressione persiana aveva contribuito a far nascere nei Greci quel senso di appartenenza ad una comune stirpe ellenica che fino al 490 a. C. essi non avevano ancora sperimentato; e infatti, oltre all’azione degli Ateniesi, nella tragedia non si manca di ricordare la potenza della “dorica lancia”, ossia l’apporto grandioso degli Spartani alla riuscita della guerra, in particolare l’episodio del sacrificio dei Trecento alle Termopili. Si sa che Sparta e Atene incarnavano due sistemi di vita completamente diversi e che tra le due città non c’era simpatia, dato che solo cinquant’anni dopo avrebbero imbracciato le lance in una guerra civile per il dominio sull’intera Grecia. Ma nell’occasione della seconda guerra persiana, quella combattuta a Salamina, le due rivali avevano considerato quell’attacco un allarme per l’intera Grecia, e avevano deposto le loro inimicizie in nome di quella comune origine greca.

Anche questa guerra probabilmente ci sta facendo riscoprire nuovamente europei, pur mostrandoci quanto l’Europa dipenda economicamente da paesi poco democratici; ci sta facendo capire altresì come la guerra nasconda sempre appetiti egemonici di pochi, pronti a sacrificare interi popoli in nome del potere; ci sta mostrando, infine, come le nostre paure possano facilmente diventare fobie e isteriche idiosincrasie, che ci portano a considerare il russo come il nuovo nemico, l’atleta da non ammettere alle competizioni, lo scrittore da censurare, il cittadino da isolare o da cui pretendere esplicite (e forse per lui non facili) prese di posizione. E soprattutto dobbiamo sperare che la Storia ogni tanto non si ripeta: la Persia, pur sconfitta, seppe in seguito muoversi con disinvoltura all’interno del gioco delle varie alleanze tra Atene, Sparta, Corinto, Tebe, e rimase arbitra dei destini politici delle poleis fino all’emergere della potenza macedone: peccato che Filippo II di Macedonia e suo figlio Alessandro Magno, prima di annientare i Persiani, avessero privato la Grecia della sua proverbiale autonomia e della sua preziosissima libertà. Suona la campanella: al termine della lezione, ci auguriamo che la fine del conflitto russo-ucraino arrivi presto e non ci riservi questo spiacevole corollario.

 

 

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