I PRINCIPI UNIVERSALI E LE CONTRADDIZIONI DELL’ECONOMIA

di Ermanno Testa

La proclamazione, nel corso della Rivoluzione francese, dei tre principi universali, Liberté, Égalité, Fraternité, all’inizio risponde a motivazioni giuridiche, economiche, politiche, istituzionali. Sulla base di tali principi, infatti, si aboliscono in Francia i tradizionali privilegi della nobiltà e del clero e si afferma la pari dignità di tutti i cittadini: fatto storico rivoluzionario con cui si abbatte l’ancien régime e si avvia la costruzione del nuovo Stato moderno, reso ancor più eccezionale dalla affermazione del carattere di universalità di quei principi, cioè validi e perciò perseguibili da parte di tutto il genere umano. Da qui la reazione militare degli altri Stati europei atterriti all’idea di una esportazione della Rivoluzione oltre i confini della Francia.

Con il primo principio, in particolare, si afferma la libertà civile, economica e politica di ogni cittadino.

Con il secondo si afferma l’uguaglianza dei diritti in riferimento alla dignità, alla partecipazione politica, agli interessi di ogni cittadino.

Con la fratellanza si dà fondamento di principio alla solidarietà fra i cittadini nella difesa, appunto, dello stato di diritto ispirato agli altri due principi.

Da un simile cambiamento si delineano programmi di riforme in varia direzione: laica, liberistica, liberale, democratica. Il propagarsi ben presto di tali idee oltre i confini della Francia fa sì che si estenda anche a livello europeo un formidabile processo di svecchiamento di molte tradizionali regole sociali: si riformano i codici, si trasformano o si creano nuove istituzioni democratiche; si libera in qualche modo, ove più ove meno, un incredibile potenziale sociale di rinnovamento che vede coinvolte intere popolazioni e che consente nei due secoli successivi un decisivo progresso scientifico e tecnologico al punto, per un certo periodo, di ritenere che esso sia sufficiente a garantire anche un progresso civile. Aumenta in generale la produzione di ricchezza. Soprattutto si verifica una crescita progressiva dell’attività economica privata, in primo luogo industriale, secondo un meccanismo capitalistico, che consente a ristretti gruppi di popolazione di accumulare cospicue ricchezze e di accrescere la propria influenza politica sui governi. Di qui il sorgere di un crescente conflitto sociale con classi di cittadini esclusi o parimente attivi, in quanto operai salariati, in tale processo di crescita, ma costretti a condizioni di lavoro assai disagevoli, e scarsamente partecipi dei vantaggi di tale progresso.

Il peso crescente dell’economia nella vita sociale e civile relativamente alla capacità di produrre ricchezza senza però garantire, attraverso una sua equa redistribuzione, condizioni di vita dignitose per tutti, dilata e piega il significato e l’interpretazione di quei principi universali in senso economicistico affievolendone l’impronta democratica.

Al principio di libertà si associa, insieme ad uno spiccato individualismo, l’idea di libertà di impresa come diritto assoluto esteso fino al liberismo estremo. Il principio di eguaglianza nei diritti si estende all’idea di uguaglianza economica che, all’estremo, individua nella proprietà privata la causa prima della diseguaglianza. Quanto alla solidarietà essa si trasforma in un concetto umanitario di soccorso sociale più ancora che di solidarietà politica.

Nella storia contemporanea si assiste all’affermazione pratica di entrambe le estremizzazioni con esiti negativi che contraddicono proprio la originaria valenza democratica di quei principi.

Le società dove si è scelto di abolire la proprietà privata sono andate incontro ad un periodo di generale appiattimento, sotto il peso di una burocrazia e di un sistema di controllo culturale, politico e sociale poco trasparente e apertamente poliziesco, anche ai limiti della paranoia, con conseguente restringimento della libertà.

Le società dove si è sviluppato il capitalismo privato d’impresa e successivamente, ancora più forte, quello finanziario, in senso liberista o neoliberista, pur dando vita per un verso a processi di sviluppo anche molto accelerati in ragione di specifici interessi capitalistici, sempre in ragione dei medesimi interessi hanno anche generato storture sia nell’indirizzo delle risorse messe in campo, per esempio nell’industria bellica e delle armi in genere, sia con operazioni soltanto speculative o addirittura predatorie nel dispregio della compatibilità ambientale. A ciò si aggiunge l’impari distribuzione della ricchezza che si è accumulata nelle mani di pochi gruppi ristretti di individui a fronte di una quota percentuale sempre più ristretta di essa riservata alla stragrande maggioranza della popolazione ormai privata di certezze e coinvolta in una logica di darwinismo sociale. Questi veri e propri centri di potere economico, nazionali e internazionali, industriali e soprattutto finanziari – una nuova agguerrita aristocrazia dei tempi moderni – dettano ai governi ormai anche dei Paesi più forti, le politiche economiche e sociali contraddicendo quindi oltre che il principio di uguaglianza anche quello di libertà.

In entrambi i modelli sociali, anche dove è rispettata la ritualità del voto popolare, si assiste a un grave indebolimento della democrazia: gli apparati mediatici, a loro volta, concorrono a creare false immagini positive dell’esistente. Che fasce sempre più consistenti, dove possono, si astengano dalla partecipazione al voto è il segnale di quanto diffusa sia l’impressione della sua scarsa incidenza.

Solo uno sforzo politico consapevole a livello di società può riportare quei principi universali alla loro giusta interpretazione: se c’è infatti l’economia, un’economia spesso disumana pur con le sue logiche di mercato, ci deve essere per contrappeso ancora maggiore la politica, a cui spetta il compito democratico di garantire una economia umana, cioè finalizzata a rispondere al bisogno di benessere dei cittadini nel rispetto di quei principi universali; una politica che perciò non può ridursi, pena la sua irrilevanza, a una visione angusta e subalterna dei problemi, né allo spicciolo rivendicazionismo populista. La politica è forte e può contare se si dà una prospettiva forte e significativa di cambiamento, se riesce ad agire con la capacità di guardare insieme all’oggi e al medio e al lungo periodo. Questo richiede grande capacità progettuale e partecipazione per creare un consenso che non sia effimero e di breve durata e generare solidarietà sociale. L’occasione è data dalla prospettiva storica, a cui ormai tutta l’umanità si avvicina, di una rivoluzione scientifico tecnologica dagli effetti impensabili, della quale al momento si vedono appena gli albori. Una politica propositiva che dia consapevolezza di tutto ciò non potrebbe non contare su un consenso crescente e radicato a cominciare dagli strati più acculturati e consapevoli della popolazione. Saper mostrare come la ricerca del benessere, non quello indotto dallo sfrigolio mediatico, bensì quello capace di porre l’umanità in un rapporto positivo con la natura e con sé stessa, è oggi il compito rifondativo della politica per poter ristabilire, attraverso una giusta, equilibrata interpretazione di quei tre fondamentali principi universali, una vera vita democratica. Con l’urgenza di garantire alla politica, e non alle moderne aristocrazie economico finanziarie, la direzione di quella profonda trasformazione scientifico tecnologica appena iniziata, pena il costituirsi del dominio assoluto di quei potentati al di sopra di ogni volontà democratica.

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