di Carmela Moretti
Proprio qualche anno fa, in occasione del Bif&st, Pupi Avati raccontò il suo primo incontro con Mariangela Melato. Era il 1969 e sul set del film ‘Thomas… gli indemoniati’ si presentò una ragazzetta bruna, con i capelli ricci e gli occhi vispi. Al regista serviva un’attrice bionda con gli occhi chiari, quindi le comunicò che non l’avrebbe presa in considerazione. La Melato aspettò fuori dal set per giorni, dal mattino all’imbrunire, nell’attesa che Avati si accorgesse di lei. E così accadde: il regista bolognese, intenerito da tanta determinazione, le assegnò la parte e si innamorò del suo talento. Ciò che poi la Melato ha rappresentato nel cinema e nel teatro, lo sappiamo tutti: una regina della recitazione.
Ieri, nell’edizione 2020 del Bif&est, a ricevere il premio dedicato a questa straordinaria attrice è stata Paola Cortellesi, che, nata come comica e imitatrice, è riuscita a farsi strada nel panorama cinematografico italiano come protagonista brillante di numerose commedie di successo. La giuria le ha assegnato il premio come migliore attrice protagonista per “Figli”, un film che purtroppo è l’esito di un passaggio di testimone tanto triste quanto inaspettato. Come ha spiegato il giornalista Fabio Ferzetti, il regista Giuseppe Bonito lo ha eredito dallo sceneggiatore Mattia Torre, che avrebbe dovuto esserne anche il regista, se non fosse venuto prematuramente a mancare nel luglio del 2019, a soli 47 anni, dopo una lunga malattia. Portare a termine quest’opera è stato, quindi, anche un doveroso omaggio al suo ideatore.
Nel videomessaggio di ringraziamento, la Cortellesi si dice onorata del premio e promette di tornare a Bari per la prossima edizione del Bif&st.
La sesta serata della kermesse entra, poi, nel vivo, con la proiezione del film “Misbehaviour” (Il concorso) di Philippa Lowthorpe, opera che segue i canoni classici della cinematografia e porta in scena un tema molto caro agli inglesi, riprendendo un episodio realmente accaduto: la contestazione di un gruppo di femministe, in occasione del concorso di Miss Mondo nel 1970.
Quella edizione della competizione fu realmente al centro di una serie di controversie legate al sessismo e al razzismo. Ed è attorno a questi due filoni che ruota tutto il film, con toni sempre brillanti e intelligenti, senza mai scadere nella retorica.
Dunque, da un lato ci sono le reginette del concorso e tra queste anche Miss Africa del Sud e Miss Grenada. Queste, ammesse a parteciparvi per la prima volta tra polemiche e contrasti, si classificano rispettivamente al secondo e al primo posto. Dall’altra parte, ci sono Sally e un gruppo di attiviste “cazzute”, che si oppongono alla mercificazione del corpo della donna e organizzano una protesta coi fiocchi: riescono addirittura a portarla all’interno del teatro proprio in occasione della tanto attesa serata finale, davanti agli occhi di tutto il mondo. L’aspetto più interessante del film è che non ci sono toni di condanna verso i concorsi di bellezza da parte della regista. Nelle parole di Jennifer, Miss Grenada, esso addirittura diventa un’occasione imperdibile di riscatto. Per il mondo occidentale, però, i tempi erano abbastanza maturi per un passo in avanti nel processo di liberazione della donna. Questione di punti di vista, insomma.
Ciò che è sotto accusa nel film è il patriarcato. Gli uomini e il loro machismo ne escono pesantemente ridicolizzati, mentre le donne sono le vere vincitrici, nella realtà come nella finzione cinematografica: negli anni seguenti a quell’episodio, Sally diventò docente di Storia Moderna all’Università di Londra, Jennyfer si laureò in Scienze politiche e diventò Alto Commissario del Grenada in Canada.
Un’opera riuscita, quindi: è registicamente inappuntabile, con un cast eccellente (tra cui spicca Keira Knightley), ma soprattutto interessante per il taglio dato alla tematica affrontata, che purtroppo è ancora di straordinaria modernità.
Gli sforzi per abbattere il patriarcato, ci ricorda la regista, continuano ancora.