“ANIMALI SELVATICI”, regia di Cristian Mungiu, Romania, 2022

di Francesco Monteleone

“Gli stranieri non si lavano il culo come noi, portano malattie, ci tolgono il lavoro, sono tutti musulmani anche se cattolici o buddisti; arrivano in pochi, ma presto si moltiplicano e prendono il sopravvento…”

Da quando in tutta Europa si è moltiplicata la presenza di esuli, di richiedenti asilo, delle vittime che scappano davanti ai fucili o semplicemente di esseri umani affamati e assetati non c’è un angolo di strada nel quale non si sentono giudizi rabbiosi verso di loro e la grande voglia di cacciare quella molesta e inutile umanità. Perché chi ha un colore della pelle non identificato sicuramente mangia schifezze, prega strane divinità, ruba nelle case, spaccia le droghe e uccide le donne. Orbene, se gli Indesiderati si mischiano ai Preoccupati nei grandi centri urbani è difficile cacciarli, ma in un paesino della Transilvania con 500 abitanti è facile esercitare il proprio razzismo e averla vinta. Questo è in grandi linee il tema affrontato da Cristian Mungiu, il più famoso regista rumeno, che i film li sa fare con stile, ritmo, buone inquadrature, dialoghi intelligenti e tanta onesta intellettuale.

Dopodiché, gentili lettori, sappiate che ci vuole tanta preparazione culturale per vedere questo lungometraggio di 125 minuti, vissuto a fianco di un uomo qualunque, un macellaio forte fisicamente, vagamente scopatore, con il cuore sempre in cerca di miglior vita e con la mente orientata a costruire la sua identità di patetico superuomo. Insomma, per non pentirvi di aver pagato il biglietto, dovete essere pronti a vedere un film senza colpi di scena, inerpicato in un luogo nevoso e montano dove al massimo si mangia buona carne, si suona musica tradizionale, con la presenza di poche donne soffocate da uomini rozzi, ma non rassegnate ad agire senza umanità verso gli estranei.

Ecco detto: siate un pubblico d’essai per riuscire ad ammirare questo recitato museo all’aperto dei pregiudizi, ambientato nella selvaggia Transilvania; un’opera decente che miete premi e giudizi critici notevolissimi vi offrirà il misterioso concetto di ‘normalità’ come succo da sorseggiare. Ungheresi, tedeschi, rumeni, tutti poveri e negletti, preferiscono vivere esclusivamente con i conterranei perché secondo la loro ristretta ideologia chi ci assomiglia nella purezza razziale ci fa sentire al sicuro da pericoli e paure ataviche.

Il titolo originale del film è R.M.N., acronimo rumeno della risonanza magnetica. Il titolo italiano ANIMALI SELVATICI è altrettanto insignificante rispetto al soggetto trattato. (Ma perché mai i registi e gli sceneggiatori, finito il montaggio, non chiamano un poeta o un filosofo a titolare l’opera?) Comunque per tutti noi è certamente arrivato il momento di affrontare civilmente il problema dei flussi migratori incontrollati. La gente comune in tutta la rugosa Europa vuole vivere in una società buona, pulita e giusta, ma essa ha lo sguardo affumicato da notizie di cronaca spaventose, causate da sconosciuti sparsi dappertutto che nessuno controlla. I governi non garantiscono più ai loro popoli le notti a 5 stelle di una volta e solamente gli artisti come Mungiu, grazie al cielo, ancora si impegnano a dar voce alla tolleranza, a esplorare in tutte le sue sfaccettature questo nostro mondo contraddittorio. La verità è che la stragrande maggioranza dei cittadini europei ha ormai subìto un atto di piccola o grande violenza da persone senza patria e la destra vince dappertutto perché promette di eliminare tutte le strutture ricettive destinate a chi proviene da uno sconosciuto ‘altrove’.  L’effetto finale del film in questione è che c’è qualcosa di tribale nei popoli della sclerotizzata Europa; perciò noi Ottimisti dovremmo darci la missione di creare un insieme armonioso con quelle anime create da Dio, storicamente sfruttate nelle loro terre per squallidi utilitarismi. Uomini, donne, bambini sono un inestimabile patrimonio, ma la perdurante ignoranza filosofica alimenta i contrasti invece che gli abbracci. Ecco: nelle scene più emozionanti di questo film si danno tenerissimi abbracci; accogliere a braccia aperte gli altri è il vero passo avanti che possiamo fare per diventare più virtuosi. Chiudiamo con un pensiero intrepido: il cinema di qualità non cessa di essere il seme della rinascita. State alla larga dall’inquinamento luminoso delle pellicole commerciali. E ora buona visione allo Splendor di Bari; dopo la dolorosa chiusura dell’Esedra è rimasto l’ultimo simbolo della resistenza cinematografica.

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