di Giacomo Losavio, neurologo e neurofisiologo clinico
Gli esseri umani hanno inventato gli orologi con un unico scopo: misurare con precisione lo scorrere del tempo. Grazie a ciò, questa dimensione è sempre lineare. Invece, per il nostro cervello, l’idea del tempo è più complessa.
Tutti disponiamo di due “orologi” cerebrali, delle aree neurali situate nel cervelletto e nei gangli della base. La loro azione congiunta ci premette di fare delle previsioni a breve termine.
Facciamo previsioni quasi in ogni momento. Sappiamo, per esempio, quando sta per arrivare la parte che più ci piace della nostra canzone preferita. Oppure tendiamo ad accelerare il passo quando percepiamo che un semaforo sta per diventare rosso. Prevediamo il futuro in modo semplice e strumentale grazie a due favolosi e precisi orologi cerebrali. Anche la percezione del tempo non è mai sovrapponibile : quando siamo felici e ci divertiamo, il tempo scorre molto in fretta. Altre volte, invece, soprattutto quando si verificano eventi traumatici, sembra fermarsi.
Albert Einstein diceva che il tempo è poco più di un’illusione. Se c’è un organo che sembra comprendere questa dimensione in modo quasi oggettivo è proprio il cervello. Grazie a esso, siamo in grado di prevedere eventi che possono accadere in un momento preciso e a reagire in modo da sfruttarli a nostro favore. Quel quid che ci permette di sterzare all’ultimo momento per evitare un incidente o che ci aiuta a scegliere le parole giuste durante una conversazione intuendo le frasi che possano aiutare il nostro interlocutore. Quindi il cervello assume più il ruolo di “sintonizzatore” che di anticipazione.
Infatti attraverso l’esperienza , ci adattiamo agli eventi che accadono intorno a noi per prevenire i rischi e trarre sempre beneficio modulato anche dall’istinto innato di sopravvivenza .
Invece nelle malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il morbo di Parkinson, il concetto di tempo e di ritmo risultano alterati. È come se dentro di noi accadesse qualcosa che ci fa vivere il tempo in modi diversi. La risposta a questo enigma si trova nei cosiddetti orologi cerebrali.
Ogni orologio cerebrale situato in un’area cerebrale lavora in modo coordinato. Ci consentono di prevedere le strategie quando giochiamo a calcio, durante una partita a scacchi o quando parliamo con qualcuno. Allo stesso modo, sfruttano l’esperienza e la memoria per ottenere informazioni su come agire e anticipare un evento.
Gli orologi cerebrali: una speranza per alcune malattie.
È noto che i pazienti con degenerazione del cervelletto e con Parkinson hanno difficoltà a reagire agli stimoli ambientali. I primi non rispondono ai segnali “non ritmici”, mentre i secondi mostrano dei deficit legati al ritmo e a tutto ciò che si basa sulle sequenze (musica, movimento, ecc.).
In entrambi i casi si verifica una distorsione molto evidente del fattore tempo (ad esempio, la mancanza di coordinazione), che ha sul paziente effetti osservabili quotidianamente. Si ritiene che in entrambi i casi vi sia un problema a carico degli orologi cerebrali.
Nei malati di Parkinson vi è un deficit dell’orologio dei gangli della base, invece nei pazienti con degenerazione del cervelletto un deficit in quell’area così importante che anticipa il futuro. Oggi sappiamo che con l’allenamento cognitivo la funzione di un orologio può essere svolta dall’altro. Quindi se si altera il cervelletto si trascrive sui gangli della base e viceversa. Tutto ciò finalizzato a evitare che questi soggetti perdano completamente la percezione del tempo e la programmazione del futuro. La terapia viene impostata con vari giochi per computer e sulla stimolazione cerebrale profonda che è una tecnica che si attua con onde magnetiche indirizzate nelle aree colpite o da curare. Questa terapia consentirebbe ai malati di muoversi e reagire con più naturalezza nell’ambiente circostante.
Si tratta, tuttavia, di ricerche nell’ambito della riabilitazione cognitiva delle malattie neurodegenerative ancora in fase sperimentale, dunque a oggi non esistono trattamenti o protocolli definiti. Solo timidi tentativi e timide risposte Attendiamo speranzosi futuri progressi in questo ambito affinché questi pazienti recuperino almeno parzialmente le loro funzioni cognitive.