TOLLERANZA E FRATELLANZA

di Ermanno Testa

Il “Trattato sulla tolleranza” (Traité sur la tolérance, 1763) di Voltaire costituisce un testo fondamentale sulla libertà di credo e sul rispetto delle opinioni e segna una svolta nel clima ancora avvelenato per i tanti conflitti religiosi nel XVIII secolo in molte parti di Europa. Erano numerosi i casi in cui la superstizione, la diffamazione o anche semplici sospetti in un clima di paranoia davano luogo a incriminazioni sommarie, condanne ed esecuzioni con orribili torture di persone del tutto innocenti. Il grido di battaglia di Voltaire è Écrasez l’infàme, “schiacciate l’infame”.

Esso significa lottare con la forza della ragione e della morale contro il fanatismo intollerante delle religioni confessionali. Alle guerre di religione, alle menzogne, agli odi inconciliabili accesi dalle differenze di opinione, all’inutile violenza, debbono sostituirsi la carità e l’indulgenza. La natura umana, secondo Voltaire, è di per sé fragile e incline all’errore e la tolleranza dunque è una conseguenza necessaria della condizione umana: la libertà di credo è la via per una società che non intenda affondare le proprie radici nel sangue e la propria giustizia nella ragione del più forte. Ogni uomo di buona volontà, secondo la concezione deista di Voltaire, è chiamato a lottare per la tolleranza e la giustizia della religione naturale governata da un Dio senza dogmi, un giudice giusto che sovrintende alla macchina meravigliosa che ha creato.

Il Trattato rappresenta, non diversamente dal contemporaneo “Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria, una di quelle tappe importanti attraverso cui è cresciuto il pensiero civile permettendo di evitare che si ripetessero certe nefandezze. La storia successiva fino ai nostri giorni tuttavia e le attuali condizioni mostrano che la tolleranza (dal latino tollere: addossarsi, sopportare), se è necessaria e quindi doverosa per evitare il conflitto, non è tuttavia sufficiente per rimuovere la precondizione dell’intolleranza: cioè la convinzione di un individuo di poter vantare una maggior forza circa la ‘verità’ posseduta da riuscire a sopportare quella che considera la ‘non verità’ dell’interlocutore; in sostanza, l’idea di una presunta superiorità del tollerante verso il tollerato. “Io ti tollero, perciò tra noi evitiamo il conflitto, ma io ti tollero proprio perché mi reputo superiore a te”. Questo paradigma vale sia nei rapporti tra singoli, sia in quelli tra popoli o tra Stati o tra religioni o tra gruppi. Superare la condizione di tollerante e di tollerato è possibile a due condizioni: che le idee che si confrontano non contrastino con quei principi che il consorzio civile umano considera universali e come tali non negoziabili. E che a confrontarsi sia un pensiero non dogmatico, né preconcetto. In caso contrario, a fronte di ogni diversità non condivisa, non c’è possibilità di dialogo vero né di eventuali soluzioni comuni.

Non a caso la battaglia intrapresa da Voltaire a favore della tolleranza fa riferimento a conflitti di natura religiosa, tra dogmi a confronto, per loro natura insanabili. Non è dunque la Tolérance bensì la Fraternité (solidarietà, fratellanza) la cifra più alta (e più difficile) con cui misurarsi, possibilmente tutti, per una migliore condizione di civiltà. Ispirarsi a questo principio rende possibile un vero e onesto confronto tra opinioni diverse e può condurre all’eventuale condivisione, senza che questo impedisca, rendendolo però semplice e produttivo, l’esercizio della competizione, anche la più accesa; una competizione in questo caso ‘sana’, in quanto priva del ‘dogma’ di sé o del proprio gruppo di appartenenza, piccolo o grande che sia: familiare, tribale, sociale, etnico, religioso, culturale, territoriale, nazionale. Se cioè c’è sincera disponibilità al confronto, non ancorandosi, dunque, a verità assolute o ad appartenenze ma assumendo atteggiamenti ‘oggettivi’, laici, onesti, semplicemente, umanamente.

 

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