RIFLESSIONI AMERICANE (E NON SOLO)

di Giulio Loiacono

Ammetto che riporterò materiale assolutamente non mio, ma che, da invidioso e modesto impugnapenne qual sono, avrei voluto fosse mio.

Tutto nasce dal mio “peregrinare” per YouTube su  pagine italiane, materiale meno noioso della stanca e stantia televisione generalista, a dire il vero non solo italiana.

Ebbene, non dirò chi ho visitato, ma citerò solo uno degli ospiti dello spazio in streaming internet. Il Prof. Puglisi, ordinario di Scienza delle Finanze alla LUISS, nell’ambito di un discorso diverso, affronta un tema che mi ha impressionato. La tendenza, nella società statunitense, ad abbandonare, nel discorso politico, specie tra i cosiddetti liberals-grossomodo i nostri uomini e donne di sinistra-, il tema dicotomico capitale/lavoro del classico pensiero “forte”, in questo caso di matrice marxiana (anche  se in America, come è noto, la teoria marxiana applicata ed elevata a partito politico non ha mai avuto successo) per riportarlo ad un tema della individualità e della attribuzione di identità, tipica di un pensiero “debole” di ispirazione, se non trazione faucaltiana/derridiana.

A questo, prima di proseguire nella spiegazione della trama puglisiana, vorrei aggiungere una nota, straordinariamente aderente alla questione, questa volta espressa in altra sede e per altro oggetto, dal noto, a noi, storico/politologo Aldo Giannuli. L’intellettuale barese di origine, ora a Milano, pare collegarsi idealmente a quanto appena detto, in sostanza affermando che  la visione foucaltiana/derridiana ha introdotto quella alternativa al pensiero forte, carico di portato ideologico, che è stata iniziativa del pensiero liberista, il vero conservatorismo dei nostri tempi. È , dunque,  da un lato il pensiero “de sinistra” ad introdurre i temi del senso di colpa e del politicamente corretto, che poi, penso anche in Italia, si sono auto raccolti attorno alla definizione di woke. Questo nella visione liberale classica di Puglisi. Tutto ciò, a drammatico contrasto con quanto appena riportato del pensiero di Giannuli, che, da sinistra, attribuisce lo stesso pensiero di fondo alla destra liberista, omicida della ideologia/ casamatta e riparo sicuro delle masse del Novecento e, come tale, da queste ultime rimpianta.

Appare evidente,  come da posizioni opposte, si arriva a utilizzare il medesimo tool (arnese) del pensiero per antinomizzarsi l’un l’altro. 

Stavolta vi anticipo la chiusura: non prendo posizione per viltà. Almeno in queste righe. So “per chi fare il tifo” tra le due posizioni, ma ciò che voglio evidenziare è che entrambe possiedono elementi molto interessanti e spunti di profonda riflessione.

Torno però al corpo della questione di Puglisi che sollecita la mia attenzione “da americano”. Esprimendo quanto detto sopra, egli dimostra un’ottima conoscenza della realtà stelle e strisce e mostra come il linguaggio politico di buona parte della base del Partito Democratico americano si sia evoluto. Ciò è avvenuto  al termine di un lungo processo di modificazione, che passa anche per la invenzione delle primarie proprio al fine di  trasfondere nuova linfa in un dibattito elettorale che era diventato non solo statico per quanto riguarda il recepimento dello stesso da parte degli elettorati classici ma anche  per i temi. Per quanto attiene ai primi, bisogna dire- o ricordare-che i Democratici, specie degli Stati del Sud, fin quasi la metà del secolo XX, erano stati dapprima schiavisti e poi separatisti razziali o in genere ultraconservatori, tanto da essere definiti Dixiecrats, ossia traducendo liberamente “ i Democratici Confederati”. Per ciò che è inerente ai temi, la lunga marcia dei diritti civili-è infatti questo qualcosa che parte dagli anni sessanta del secolo scorso-diviene il prodromo logico della multirazzialità prima e di uno sforzo di multiculturalità dopo, con al centro il senso di colpa dei bianchi circa i loro soprusi, sino a giungere alla polverizzazione della binarietà ed alla affermazione della diversità parcellizzata come nuovo metro.

Ciò ha indubbiamente “rivitalizzato” un po’ delle tematiche e dato alimento al discorso delle primarie almeno sino alla fine del secolo, ma ha distratto, direi, inesorabilmente la questione dal tema forte della dinamica capitale e lavoro, dove a questa corrispondenza biunivoca si dava il corpo del dibattito incentrato su “ quanti soldi uno ha in tasca e/o se ha o meno un lavoro” e come tali quali fondamentali della vita e dunque delle scelte politico-elettorali.

Tutto, in questo momento, pare sparito per offrire spazio allo woke. Si badi molto bene: non al tema dei diritti civili e della parità, questioni forti arrivate al termine ed alla evoluzione di un percorso ideologico,  deciso e pregno di significato. Io parlo di una sua variante, il woke appunto, che assomiglia ad una mousse dal punto di vista dei contenuti ma che è melassa dal punto di vista della sua operatività e pervasa da un forte contenuto “debole e post storicistico”.

Ora, in chiusura, vi giro una domanda, forse retorica: a voi paiono argomenti “americani” o vediamo un po’ dappertutto questa “arma di distrazione di massa” post storica emergere come totem, tesa a chiudere in cantina le questioni forti o, per dirla con eleganza anglosassone e deferenza a chi mi ospita, le main issues?

 

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