MOGLIE E MARITO: PROMESSE DI FEDELTÀ

a cura di Gabriele Colella

parte prima (Laodamia e Protesilao)

È giunto il momento di focalizzare la nostra attenzione su quella parte delle Eroidi in cui entrambi i coniugi si scambiano, vicendevolmente, promesse di fedeltà. Esamineremo, nei nostri prossimi interventi, rispettivamente, la lettera di Ipsipile a Giasone (her. 6); quella lettera di Medea a Giasone (her. 12); quella di Laodamia indirizzata al suo Protesilao (her. 13).
Cominciamo proprio dalla tredicesima lettera, e cioè quella di Laodamia a Protesilao. In corrispondenza degli ultimi versi di questa epistola, Laodamia confessa la propria fedeltà al marito lontano.

me tibi ventura comitem, quocumque vocaris,
sive – quod heu! timeo – sive superstes eris. (her 13, 163-164)

Appena dopo aver presentato l’espediente cui è ricorsa per supplire alla lontananza dell’uomo amato (l’imago di cera dalle fattezze di Protesilao), Laodamia si congeda dal suo uomo con i giuramenti finali, nonché con un piccolo monito che occupa l’ultimo verso dell’epistola (v. 166 si tibi cura mei, sit tibi cura tui!). La donna giura che sarà compagna del marito, che sarà pronta ad accompagnarlo ovunque sia chiamato e disposta a condividere con lui il suo destino. Le promesse della coniunx costituiscono, così, la sphraghis della lettera. Non si tratta, tuttavia, di un caso isolato nell’opera ovidiana. Anche la lettera

Laodamia, George William Joy. XX sec.

ottava, a ben guardare, è chiusa dai giuramenti di Ermione (her. 8, vv. 121-122 Aut ego praemoriar primoque exstinguar in aevo / auto ego Tantalidae Tantalis uxor ero), non troppo dissimili da quelli di Laodamia. In effetti, la donna, similmente ad Ermione, oltre a chiudere l’epistola con un articolato giuramento, prospetta un duplice esito per la propria esistenza: continuare a vivere accanto a Protesilao, oppure morire con lui. In cosa divergono le dichiarazioni delle eroine? Mentre Laodamia starà comunque con Protesilao, in vita o in morte, l’alternativa che si pone a Ermione è stare con Oreste oppure no, e in questo caso morirne. Inoltre, in her. 8 Ermione giura di restare, a patto che non muoia prematuramente, moglie Tantalide di un Tantalide (v. 122 Tantalidae Tantalis uxor ero).

Ermione, invece, definendosi uxor, con tutta probabilità, intende ribadire per l’ennesima volta, anche nel finale della lettera, che è moglie legittima di Oreste, e che costui è suo legittimo sposo molto più di chi, come Pirro, se ne è appropriato contro i diritti coniugali del nonno di lei. Laodamia, d’altronde, nel promettersi per sempre fedele al marito, non focalizza la sua attenzione sul legame matrimoniale che la lega a Protesilao; non si definisce coniunx come già Penelope (her. 1, 84), o uxor come fa Ermione, ma afferma che sarà comes, compagna del marito, ovunque il destino dovesse condurlo. Il termine suggerisce proprio l’idea dell’accompagnamento, della volontà della donna di seguire Protesilao, esattamente come non ha potuto fare quando il marito è partito alla volta di Troia. Il vocabolo, quindi, suggerisce l’irrefrenabile desiderio della moglie di non abbandonare mai il marito, in vita come in morte. L’appellativo comes, inoltre, ben si addice al ‘procedere’ di Deianira accanto al marito quocumque vocaris (v. 163), ‘ovunque sarà chiamato’. L’avverbio quocumque più che il verbo vocaris (molto più vago rispetto a un ipotetico venire o ire ma, allo stesso tempo, più adatto, quanto più nella diatesi passiva, per alludere all’idea della ‘destinazione’ che Protesilao subisce al di là del proprio volere) veicola l’idea del movimento che a comes è connaturata (da cum-eo, ‘vado assieme’).

Passiamo adesso alle promesse di fedeltà del marito, che si leggono sempre in her. 13:

Fortius ille potest multo, quam pugnat, amare:
bella gerant alii, Protesilaus amet! (her. 13, 83-84)

In questa sezione dell’epistola, Laodamia ribadisce, con tutte le sue forze, la singolarità del marito rispetto agli altri guerrieri greci: la causa per cui lui combatte è dispar (v. 77), rispetto a quella degli altri combattenti, nonché rispetto a quella di Menelao, che a Troia rischia la propria vita per riconquistare Elena, ingiustamente a lui sottratta. Protesilao, invece, unico tra tutti, combatte per poter tornare da Laodamia che, piena di speranza, lo aspetta (vv. 77-78 … tu tantum vivere pugna, / inque pios dominae posse redire sinus).
La moglie è convinta che il marito sia in grado di amare con virtù maggiore di quanto combatta. L’idea dell’essere fortis si lega al mondo militare e dunque al pugnare e ai bella, piuttosto che al mondo elegiaco e all’amare. È degna di nota la struttura del verso 84. Il fatto che la prima proposizione veda susseguirsi, in ordine, l’accusativo bella, il verbo gerant e il soggetto alii, e che, invece, la seconda proposizione (alla prima legata per asindeto) sia caratterizzata dall’anteposizione del soggetto Protesilaus al verbo amet, contribuisce alla contrapposizione visivamente percepibile di alii e Protesialus. L’obiettivo perseguito, attraverso questi espedienti retorici, è quello di evidenziare la differenza incolmabile che per Laodamia divide il marito dai restanti greci. Dalle parole della coniunx è possibile dedurre che l’amore di Protesilao per Laodamia è tanto forte quanto quello della donna nei suoi confronti. Anche Protesilao è fedele, come fedele a lui è Laodamia. È indispensabile però una precisazione: differentemente da quanto accade al v. 70 (“Parcere me iussit Laodamia sibi.”), quello dei versi 83-84 non è un discorso diretto di Protesilao riferito dalla moglie. Anzi. Nei versi in questione, infatti, è Laodamia ad esprimersi. La prospettiva della donna domina incontrastata per tutta l’epistola.

 

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