di Carmela Moretti
Sono passati trent’anni da allora, ma la ferita è ancora aperta e sanguina. Le stragi di Capaci e via D’Amelio continuano a essere due tra gli episodi più sconvolgenti della storia italiana; un terribile attacco allo Stato, che aprì gli occhi di un’intera generazione sulla reale esistenza di un sistema mostruoso chiamato Mafia. Da allora, ogni anno si susseguono manifestazioni, celebrazioni, rituali. E le figure di Falcone e Borsellino, sempre più eroi nell’immaginario collettivo, non smettono di essere fonte di ispirazione per scrittori e artisti in generale.
Da qualche mese è in libreria “Io sono il Falcone” di Cosimo Dellisanti. È un romanzo ad alta leggibilità e con una grande componente fantastica, che vuole coniugare la realtà storica con il mondo dei supereroi della Marvel.
Durante una chiacchierata, mi ha detto che la storia di Falcone e Borsellino la affascina da sempre. Ricorda in che modo da bambino l’ha appresa e quali aspetti l’avevano suggestionato?
Delle stragi non ho ricordi diretti, avevo solo due anni e mezzo, e la prima volta che ho sentito il nome di Giovanni Falcone è stata a quattro, cinque anni. Avevano intitolato a Falcone i giardini pubblici di Crispiano, il paese dove sono cresciuto. Fu mia madre a spiegarmi che era stato un giudice ucciso dalla mafia insieme al “suo amico Borsellino”. Da più grande, mio padre mi raccontò che la mafia aveva fatto esplodere tutta l’autostrada per ucciderlo. Forse questa è la dinamica che più mi ha suggestionato. Poi crescendo ho letto molto, ho visto tante ricostruzioni, mi ci sono appassionato studiando. C’è una persona in particolare a cui mi sono legato idealmente man mano che studiavo: Emanuela Loi, la poliziotta che era con Borsellino il diciannove luglio. È un modello per me. Oggi avrebbe la stessa età di mia madre.
Ora che è un docente di Lettere, quanto peso dà a questo capitolo della storia italiana nella formazione dei suoi studenti?
Parecchio. In una delle mie prime lezioni ho analizzato la canzone “Per la bandiera” degli Stadio, che fu scritta all’indomani della strage di Capaci. Dal testo passai poi a raccontare la dinamica della strage, e a un certo punto ho dovuto fermarmi. Ai miei studenti parlo spesso di Falcone, di Borsellino e di Emanuela Loi. Purtroppo i ragazzi sono sedotti dalla banalità della mafia, ma non è colpa loro: finché al cinema e in tv come nella musica si continuerà a romanzare i mafiosi come uomini d’azione ganzi e carismatici non andremo granché avanti. Lo ha scritto anche Caparezza: “a trent’anni da Capaci, vedi, sarà strano, ma il modello è diventato Genny Savastano”. Anche per questo ho scritto “Io sono il Falcone”: mi piacerebbe che Manuel Manfredi diventasse l’anti Genny Savastano.
In questo libro mette insieme due passioni: l’interesse per l’approfondimento storico e il fascino delle grandi avventure dei Supereroi Marvel. In che modo è riuscito a conciliare mondi così lontani?
In realtà sono mondi molto vicini. Mi interessano gli eroi da quando ero piccolo, ho iniziato con Ercole e la mitologia greca. Poi sì, sono cresciuto coi supereroi di Stan Lee, Uomo Ragno su tutti. Da ragazzino ero timido e ho sofferto di bullismo, proprio come Peter Parker. Mi ci ritrovavo parecchio. Oggi, che vanno tanto di moda, invece, sono più critico riguardo i supereroi. Sono pur sempre privati cittadini che decidono da soli cosa sia giusto o sbagliato e fanno uso di violenza proprio come i mafiosi. Sono anche l’emblema dell’americanismo, “esportatori di democrazia” a suon di pugni e raggi laser, e non è che questo mi faccia impazzire. Mi piaceva l’idea di indagare su cosa significhi davvero essere eroe, sulla labilità tra eroe e tiranno, sul ruolo che ha la massa in tutto questo e su come spesso un sistema corrotto sfrutti gli eroi a proprio vantaggio. Pensiamo alle teocrazie, a certe multinazionali e alle dittature. Diciamo che a trentadue anni non mi fido più degli “eroi”. E comunque la Storia mi ha aiutato: il tormentone dell’estate Novantadue era Hanno Ucciso l’Uomo Ragno. La canzone degli 883 è fondamentale per la crescita interiore di Manuel.
La copertina del libro è molto “suggestionante”. Una piovra e un falcone: a quali aspetti del racconto rimandano?
Per la copertina voglio ringraziare il mio grande amico e socio Martino Brescia. È un fumettista emergente, insieme ne combiniamo di ogni genere, anche se siamo distanti mille e sessantasei chilometri (lui è a Taranto, io a Verbania). Martino è bravissimo a dare forma alle cose che io immagino. Volevo due animali totemici che si scontrassero come una sorta di Yin e Yang: il falcone per i protagonisti (Giovanni, ma anche Manuel, che adotta il nome di battaglia di “Falcone”) e la piovra, che stringe tra i tentacoli un certo oggetto realmente esistito, o ancora esistente, magari in qualche archivio segreto. Lo vedi? È l’Agenda Rossa di Borsellino. Oggi è considerata una specie di reliquia sacra, come il Santo Graal, e nel romanzo contiene un indizio molto importante sulla reale identità di Manuel.
Le storie di Capaci e Via D’Amelio continuano a ispirare racconti e saggistica. Quali sono gli aspetti di novità di questo libro?
Vero, e meno male che continuano a ispirarci. A differenza dei romanzi e dei saggi scritti finora, il mio ha una forte componente fantastica. È un’ucronia, una storia mai accaduta, e ha come protagonista un siciliano venticinquenne arrabbiato che vola e muove le cose col pensiero. So che non parliamo di un gioco e che dopo tanti anni molta gente ancora soffre per quello che è successo. Io rispetto quel dolore. Non c’è un fine speculativo nella mia storia, c’è solo la voglia di emozionare, di immaginare un’Italia diversa, che non esisterà mai, ma citando Rita Atria, chi ci impedisce di sognare?
Quindi, due motivi per cui dovremmo leggere “Io sono il Falcone”…
Primo motivo, ho scritto questo romanzo con uno stile ad “alta leggibilità”. L’ho scritto in modo che lo si finisca di leggere in tre ore, e che arrivi alla testa del lettore e crei immagini vivide, sensazioni forti, come quella di volare, e riflessioni a piccole dosi. Secondo motivo, l’unica magia che abbiamo per rendere immortali Falcone, Borsellino, Emanuela è l’Arte. Io avrei tanto voluto incontrarli, parlarci, e ci sono riuscito attraverso Manuel, il “Falcone”. La verità è che io sono il Falcone. E anche i nostri lettori, a loro volta, sono il Falcone.