Il lunedì con la medicina. INTELLIGENZA ARTIFICIALE e SLA

di Giacomo Losavio, neurologo e neurofisiologo clinico

AI e SLA sembra uno scioglilingua ma in realtà sono le abbreviazioni di Intelligenza artificiale e Sclerosi laterale amiotrofica. La prima è una tecnologia ormai applicata in tutti i campi dello scibile umano ma soprattutto nelle scienze mediche. La seconda è la sigla di una grave patologia neurodegenerativa che porta irrimediabilmente a morte (Sclerosi lateraleamiotrofica). Fino a vent’anni fa una persona colpita da malattia neurodegenerativa (demenza SLA) perdeva irrimediabilmente  l’uso dell’espressione mimica e verbale con grave limitazione nella vita quotidiana . Un lavoro scientifico recente pubblicato su Nature invece  mostra  che l’AI collegata al cervello  può tradurre i segnali dell’attività cerebrale in parole ed espressioni e consentire una dialogo rapido e naturale

In pratica il malato di SLA che nel decorso della sua malattia perde l’uso della parola  tornerebbe a comunicare a comunicare con il mondo grazie a un sistema che interfaccia il cervello a un dispositivo esterno, cioè con un computer dotato di intelligenza artificiale, che può tradurre i segnali dell’attività cerebrale in parole ed espressioni per consentire una dialogo rapido e naturale.  Tutto ciò anche simulando anche la voce originale e producendo una sorta di ‘avatar’ sullo schermo del computer.

Pat Bennett, oggi 68enne, è una ex direttrice delle risorse umane che nel 2012 ha scoperto di avere la Sla, una malattia neurodegenerativa progressiva che attacca i neuroni che controllano il movimento, causando debolezza fisica fino alla paralisi totale ma anche dei muscoli fonatori .

Nella donna, però, si è verificato un deterioramento nel tronco encefalico: può ancora muoversi e usare le dita, ma non più i muscoli che ci aiutano a parlare. In sostanza il suo cervello è in grado di formulare indicazioni, ma i muscoli non li posso eseguire. Il 29 marzo 2022, un neurochirurgo della Stanford Medicine ha posizionato due minuscoli sensori, grandi come un’aspirina, in due regioni del cervello entrambe implicate nella produzione del linguaggio. Bennett è la protagonista della sperimentazione portata avanti dai ricercatori dell’Università della California a San Francisco e Berkeley.

I sensori alla base del sistema sono componenti di un’interfaccia cervello-computer intracorticale, o iBci.  Il sistema combinato con un software all’avanguardia di decodifica, con intelligenza artificiale, è progettato per tradurre in parole su uno schermo l’attività cerebrale che accompagna i tentativi di parlare. Circa un mese dopo l’intervento, il team di scienziati della Stanford ha avviato le sessioni della sperimentazione due volte a settimana  per addestrare il software che interpretava il discorso della Bennett. Dopo quattro mesi   i tentativi di espressione della paziente venivano convertiti in parole sullo schermo di un computer alla velocità di 62 al minuto, oltre tre volte più veloci del record precedente per la comunicazione assistita dalla ‘intracortical brain-computer interface’ (iBci)”.

Gli autori sottolineano che non siamo di fronte ad un dispositivo reale che le persone possono utilizzare nella vita di tutti i giorni“, ma è un grande passo avanti verso il ripristino di una comunicazione rapida per le persone paralizzate che non possono parlare.

Quindi oggi la fantascienza sta diventando realtà soprattutto nel campo delle neuroscienze dove la tecnologia è assolutamente avveniristica

 

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