A TAVOLA CON… I PROMESSI SPOSI

di Carmela Moretti

“Tutto questo successo per la storia di due fidanzati”, ebbe a dire grossomodo dei “Promessi Sposi” il linguista e amico del Manzoni, Niccolò Tommaseo. Non possiamo negare di averlo pensato qualche volta anche noi durante gli anni del liceo, per poi comprenderne la grandezza soltanto una volta raggiunta la maturità. Opera fondamentale sotto il profilo della poetica e linguistico, “I Promessi Sposi” sono interessanti anche sul piano storico e sociologico. Manzoni ricostruisce con grande dovizia di particolari la società del ‘600, quindi apprendiamo della dominazione spagnola, della carestia, della peste che divampò proprio nell’area tra il milanese e il bergamasco, degli usi e dei costumi dei signorotti, del clero, del popolo.

Niccolò Tommaseo
Per esempio, cosa troviamo sulla tavola dei protagonisti dell’opera manzoniana? E quindi, che cosa si mangiava nella campagna lombarda in quel secolo? Facciamo un tuffo nel romanzo e prendiamo posto a tavola, insieme ai quei personaggi che ormai sono entrati nel nostro immaginario.
La sontuosità dei pasti non trova largo spazio nei “Promessi Sposi” se non in rare occasioni. Nel capitolo V, Fra Cristoforo lascia la casa di Lucia per andare da Don Rodrigo a ricordargli che “verrà un giorno” in cui dovrà fare i conti con la giustizia divina. Decidiamo di seguirlo, nonostante la sua iniziale renitenza. Veniamo invitati a sederci con i commensali di Don Rodrigo attorno a una tavola imbandita. Fra Cristoforo è contrariato, avrebbe preferito attendere in disparte. Noi ne siamo divertiti: nella sala è tutto un rumore di stoviglie, un parlottare frivolo e presuntuoso, il trionfo del trash. Persino la carestia, che non ha varcato la soglia del palazzo del signorotto, è affrontata con superficialità, mentre il frate cappuccino è qui accanto a noi che cerca di trattenere la sua proverbiale collera. Ci viene offerto del vino dal padrone di casa, ma francamente, a dispetto degli elogi dei commensali, a noi non sembra di ottima qualità.

«Non c’è carestia,» diceva uno: «sono gl’incettatori».
«E i fornai,» diceva un altro: «Che nascondono il grano. Impiccarli.»
(…) S’andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino…
 

Don Rodrigo e Fra Cristoforo
Per il resto, quello dei “Promessi Sposi” è un cibo semplice, povero, tipico della cucina contadina. Il pane era un lusso, quindi troviamo polenta, ortaggi locali e come carni prevalentemente galline e capponi. È stato così almeno fino agli inizi del ‘900.
Nel II capitolo, dopo aver rivelato a Renzo il nome del signorotto che ostacolava il matrimonio, Perpetua ritorna dall’orto con una verza sotto il braccio. Noi siamo lì e assistiamo a una scena di straordinaria teatralità: mentre don Abbondio, affannato nella sua seggiola, l’accusa di essere una squallida pettegola e di averlo messo irrimediabilmente nei pasticci, lei si atteggia con nonchalance, giurando e spergiurando di non aver svelato il segreto:

La venne finalmente, con un gran cavolo sotto il braccio, e con la faccia tosta, come se nulla fosse stato.

Il cavolo-verza era alla base dell’alimentazione dei contadini della Pianura Padana e ancora oggi si può trovare in abbondanza sulle tavole dei lombardi. Può essere consumato stufato come accompagnamento per un piatto di carne, oppure con le sue foglie si prepara una minestra gustosa.

A questo punto ci è venuto un po’ di appetito, chiediamo a Perpetua di poter restare a casa del curato per gustare un delicato piatto di riso e verza. Veniamo accontentati e il cibo rasserena gli animi di tutti, almeno per il momento.

Don Abbondio e Perpetua

Chiaramente, non poteva mancare in quest’opera il riferimento a un piatto tipico della cucina di tutto il nord Italia, la polenta. Siamo nel capitolo VI e Agnese, sempre pragmatica e saccente, propone di “fregare” il pavido don Abbondio con un “matrimonio a sorpresa”, ma servono due testimoni disposti a rischiare. Renzo ne è subito interessato e tutto trafelato corre verso la casa del suo amico Tonio, quindi noi ci offriamo di accompagnarlo. Arriviamo che è ora di cena, ma assistiamo a una scena in cui non c’è spazio per l’allegria: il cibo scarseggia e la polenta che stanno per mettere in tavola a malapena basta per sfamare quella grande famiglia.

Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla casetta d’un certo Tonio, ch’era lì poco distante; e lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno.

Tonio sta scodellando una “piccola luna”, che è alimento basilare nella dieta contadina delle valli e della pianura lombarda. Ancora oggi viene prevalentemente consumata con burro e latte, cioè la polenta taragna, o nella versione piemontese con stufato stracotto di carne di manzo o asino o carne equina, ed è la polenta tapeluco.

La moglie di Tonio ci chiede se vogliamo restare a cena, ma per delicatezza rifiutiamo l’invito. Sarà per un’altra volta.

 Infine, come dimenticare i malcapitati capponi che Renzo, nel capitolo III, porta in dono all’Azzeccagarbugli in cambio di una consulenza legale? Manzoni ritrae la scena con la sua consueta ironia, senza mancare di rispetto all’ingenuo candore del povero promesso sposo:

Lascio poi pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente.

 

Quei capponi, noi li abbiamo immaginati in un brodo fumante sulla tavola del furfante avvocato, e invece il colloquio tra i due personaggi degenera e le povere bestioline devono rifare tutto il viaggio di ritorno con un Renzo ormai sconfortato, che infine se ne libera gettandole sulla tavola di Agnese:

E fu questa l’ultima triste vicenda delle povere bestie per quel giorno.

Il resto della storia lo conoscete: vivono quasi tutti felici e contenti, a Don Rodrigo la Provvidenza riserva la fine che ha meritato per la sua malvagità, e noi… noi ci siamo cibati a sazietà.

RICETTA RISO LATTE E VERZE

Ingredienti per 4 persone: 200 gr. di riso, 20 gr. di burro, 1 litro di latte, sale q. b., 500 gr. di verza, parmigiano grattugiato.

Mettete in una pentola il latte, unite il riso, la verza tagliata a pezzetti, dopo averla pulita e lavata, e unite il sale. Cuocete gli ingredienti a fiamma moderata mescolando frequentemente. Quando il riso e la verza saranno cotti, spegnete e aggiungete ul parmigiano e una noce di burro.

(dal libro “Santo Mangiare: ricette dai conventi lungo la via Francigena” di Patrizia Rossetti)

POLENTA AL GRANO SARACENO

Ingredienti: 300 gr. di grano saraceno, 1 litro di latte, 200 gr. di salame nostrano, 2 cipolle, 80 gr. di lardo, sale.

Tagliate le cipolle a fettine sottili; in una padella rosolatele con il lardo, senza che prendano colore. In un paiolo scaldate il latte e appena comincia il bollore versate il grano saraceno e mescolate. Quando la polenta comincerà a prendere consistenza, salate e aggiungete le cipolle. Amalgamate il tutto, continuando a mescolare e cuocere la polenta. A cottura ultimata versate in una pirofila da forno la polenta ricoprendola con le fette di salame e gratinate a 180 gradi per circa mezz’ora

CAPPONE IN BRODO

INGREDIENTI: cappone a pezzetti 1,2 kg; sedano 100 g; cipolle bianche 220; carote 200 gr; rosmarino 1 rametto; salvia 2 foglie; timo 2 rametti; sale grosso q.b.; acqua circa 3 litri.

Ponete il cappone in una capiente pentola alta e stretta. Mondate le verdure e tagliale a pezzettoni. Ponetele in pentola. Aggiungete il sale grosso, l’acqua e gli aromi. Accendete il fuoco e, appena prende bollore, abbassate al minimo la fiamma e lasciate sobbollire per 3 ore. Man mano che affiorerà eventuale schiuma in superficie, eliminatela con una schiumarola.

 

 

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