IL FASCINO MISTERIOSO DEI “PRERAFFAELLITI”: ANCORA UNA POTENTE MOSTRA D’ARTE A MILANO

di Carmela Moretti

Le esperienze più significative nascono sempre da un rovesciamento coraggioso delle convenzioni, dei valori, degli stili di vita del proprio tempo. È con questa convinzione che si va via dal Palazzo Reale di Milano, dopo essere stati completamente affascinati dai circa 80 dipinti dei “Preraffaelliti”, in mostra nel capoluogo lombardo ancora fino al 6 ottobre 2019.

Una esposizione eccezionale, che consigliamo vivamente.

Tematiche romantiche o decadenti, niente affatto convenzionali per l’epoca vittoriana in cui furono realizzati, si sposano con una tecnica minuziosa ed estremamente attenta ai dettagli, esaltata da colori vivaci e intensi.

Ed è proprio in questo superbo accostamento tra genio ribelle e rigore espressivo che sta la grandezza delle opere dei misteriosi “Preraffaelliti”, un gruppo di pittori che nell’Inghilterra della Seconda metà dell’Ottocento volle ribellarsi alle regole della Royal Academy, la più grande istituzione artistica britannica. Presero il nome di “preraffaelliti”, perché guardarono con interesse all’arte che precedeva il divino Raffaello Sanzio, quindi all’arte medievale e prerinascimentale, considerata più autentica, passionale, fedele alla natura, meno artificiosa. E per fare questo, attinsero al ciclo arturiano, a capolavori letterari come l’Amleto di Shakespeare e la Divina Commedia di Dante, alla Bibbia, a tutti quei soggetti che potevano rappresentare al meglio le contraddizioni e i tormenti della loro contemporaneità, ma anche della nostra perché immortali.

Così, tra le sale di Palazzo Reale, lo spettatore vede dipanarsi davanti ai suoi occhi opere che magnetizzano l’attenzione per la loro forza evocativa, per l’intensità dei soggetti rappresentati, per una audace e avanguardistica anti-idealizzazione dell’amore, del desiderio, persino della donna.

L’“Ofelia” di John Everett Millais, l’opera più popolare e amata dei Preraffaeliti, commuove per la “poeticità” di certi dettagli: lo sguardo vitreo della protagonista, i ghirigori della veste nuziale, il papavero rosso in una mano, presagio di un inevitabile destino di morte.

“Ofelia” di John Everett Millais

Più avanti, si resta catturati dalla veste violacea della fanciulla ritratta tra i lillà e i petali di rose in “Amore d’aprile” di Arthur Hughes: i suoi occhi infelici ci raccontano di un sentimento ormai finito e ci chiedono compartecipazione al dolore, con una potenza introspettiva sorprendente.

“Amore d’aprile” di Arthur Hughes

E poi si arriva a Dante Gabriel Rossetti. Seguace della “Confraternita dei Preraffaelliti”, abbandonò la fedeltà alla natura e nelle sue opere guardò soprattutto alla poesia di Dante, perché in Beatrice vi ritrovava Elizabeth Siddal, la sua modella amata di un amore travolgente e maledetto, ma poi prematuramente perduta.

“ll sogno di Dante” di Dante Gabriel Rossetti

«Se un uomo ha in sé della poesia dovrebbe dipingere, perché tutto è stato detto e cantato, ma lo si è appena cominciato a dipingere», scrisse Rossetti.

E infatti, le opere dei Preraffaelliti condividono un comune denominatore con le più belle poesie di tutti i tempi: entrano nell’animo con raffinatezza e in punta di piedi, per poi sconvolgerlo prepotentemente.

 

 

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