di Carmela Moretti
Se vi siete indignati per il trattamento riservato alla giornalista Giovanna Botteri, stupidamente presa in giro per l’aspetto trasandato, vi infiammerete ancora di più per la sorte capitata a questa straordinaria donna, di cui stiamo per raccontarvi le gesta. Purtroppo da sempre il sesso femminile è bersaglio dei cliché estetici, come se la bellezza e la grazia fossero un merito conquistato e non una gentile concessione divina.
Bene, oggi celebriamo la Festa della Repubblica e spesso in questa occasione si onorano i padri della Costituente, ma quasi mai le madri, cioè quelle 21 donne che sedettero nell’Assemblea Costituente accanto ai colleghi maschi come Calamandrei, Di Vittorio, Leone, e che diedero una preziosa impronta alla nascente Repubblica. Tra queste 21 madri poi, alcune hanno avuto un destino ancor più sventurato, fino a cadere nell’oblio.
È il caso della povera Teresa Noce, nome di battaglia “Estella”, in questa foto ritratta durante il VI Congresso del PCI del 1947, tra Luigi Longo, Agostino Novella e Giuseppe Di Vittorio. Siede al centro tra i giganti, posizione che conquistò con fatica e che finì per meritare.
Teresa fu partigiana, l’”Estella” dell’antifascismo, cofondatrice del PCI, sindacalista, madre costituente, ma il suo nome è sconosciuto ai più. E se qualcuno la ricorda – incredibile, ma vero – è soltanto per la sua bruttezza. Purtroppo, Teresa fu spesso etichettata con l’aggettivo “brutta”, anziché con aggettivi che potessero esaltare la grandezza del suo operato nella lotta per la democrazia e per l’emancipazione femminile. Pare persino che quando le fu dato il nome di battaglia “Estella”, qualche suo compagno del sesso forte (forse Togliatti?) aggiunse: “Va benissimo, così non penseranno mai a te”.
Teresa Noce nacque a Torino nel 1900 in una famiglia poverissima e ancor prima di aver conseguito la licenza elementare, a quell’età in cui le bambine dovrebbero giocare con le bambole, cominciò a lavorare come sartina. Erano anni duri per l’Italia, che di lì a poco avrebbe preso parte alla Grande Guerra. Teresa studiò da autodidatta, divorando pagine di giornali e di libri che trovava qua e là sulle bancarelle, figlia di una società che ancora credeva nella cultura come fonte di riscatto sociale.
A 17 anni venne assunta alla Fiat Brevetti come tornitrice. Lì, si infiammò al fuoco della sinistra rivoluzionaria, cominciò la sua attività sindacale e conobbe Luigi Longo, che più tardi diventerà uno dei massimi dirigenti del PCI. I due si sposarono e negli anni ebbero tre figli. Per sfuggire alla deriva fascista, Teresa espatriò prima a Mosca, poi a Parigi e in Spagna. Con il nome di “Estella”, pubblicò su giornali rivoluzionari e viaggiò spesso in clandestinità per organizzare la lotta antifascista. Durante la Seconda Guerra Mondiale, venne arrestata, deportata in Cecoslovacchia e fu costretta ai lavori forzati in una fabbrica di munizioni. Tornò in Italia dopo che l’Armata rossa liberò il campo.
Ed eccoci al 2 giugno 1946. Teresa fu una delle più votate del PCI a livello nazionale e divenne una delle 21 donne italiane dell’Assemblea costituente. In Parlamento, sostenne leggi a favore delle donne, tra cui la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, che prevede i permessi di lavoro retribuiti per le madri e il divieto di licenziamento delle donne incinte. Uno straordinario passo in avanti.
Eppure, nonostante un simile curriculum, questa donna fu spesso vittima del maschilismo della politica: capitava che fosse denigrata perché poco avvenente e spesso identificata soltanto come la moglie di Luigi Longo, quell’uomo da cui ebbe tra l’altro la ferita più grande della sua vita. E infatti, se il duro lavoro, la clandestinità e la deportazione non erano riusciti a piegarla, la delusione vi riuscì.
Allontanatasi da suo marito per i continui tradimenti, Teresa apprese da un giornale dell’annullamento del suo matrimonio. Incredula, scoprì che Longo aveva falsificato i documenti. Tutto ciò era incredibile, inaccettabile, ma perché andava contro i principi del suo partito, quindi vide gli ideali di una intera vita andare in frantumi in un solo momento. I comunisti ammettevano il divorzio, ma erano sempre stati contrari agli annullamenti, considerati espedienti borghesi e offensivi.
In quel momento, anche i suoi compagni le voltarono le spalle per schierarsi con Longo. Non venne più appoggiata politicamente e così, disgustata e offesa nel profondo, Teresa si ritirò dalla vita politica e sindacale, dimenticata prima dal suo partito, poi dall’Italia, e dimenticata persino dalla sua stessa città, Torino.
Soltanto nel 2019, il capoluogo piemontese ha intitolato a questa sua figlia straordinaria una piazza nei pressi dell’ex fabbrica Incet, in un’area in cui sorgevano un tempo gli stabilimenti che producevano cavi elettrici.
È una delle tante aree industriali della periferia di Torino per troppo tempo dimenticate, esattamente come la sorte che è toccata alla nostra Teresa, che invece merita di essere ricordata da tutti noi come una preziosa combattente dei diritti delle donne.