di Francesco Monteleone
Per una beffarda coincidenza (il colore dei capelli rosso) nel suo paese le avevano rinnovato il nome di “Gilda”, che era stata nel cinema americano, una femmina gommosa e vogliosa, interpretata da Rita Hayworth.
Nella realtà lei era Rita, una puttana. Accettava volentieri di scambiarsi gli abiti, avendo la inveterata convinzione che, grazie al denaro guadagnato con il sudore acido delle marchette, potesse costruirsi una vita normale. Ma il Gino, l’eletto e l’amato, era un magnaccia che scansava la maledizione del lavoro, sfruttandola. Non l’avrebbe mai sposata. Al vertice del mantenimento, le sue promesse di felicità era diventate per Rita una moltiplicazione di dolori raddoppiati, triplicati, ingiustificati. Gremito d’accuse, Gino le dimostrava che non voleva una unione difficile. Così, dopo aver esaurito il campionario delle copulazioni sessuali, il mantenuto aveva reso totalmente impossibile il congiungimento muliebre con la Rita-Gilda. E dopo il fallimento della relazione accadde che…
10 giugno 2004. Bitonto. Teatro Coviello. Liliana Chiari compie nella sua vita una nuova digressione. Torna a recitare, dopo essere stata in un perpetuo altrove. Ella sembrava aver preso un irrevocabile congedo dal teatro, verso il quale aveva, molto tempo prima, dimostrato un talento impagabile. Dopo le peripezie esistenziali, trascorso un periodo di immobilità pura, come una monaca fasciata nella sua clausura o un malato in quarantena, Liliana è fuoriuscita dalla penombra della casalinghitudine. Forse per azzittire uno strenuo ammiratore, o per nostalgia e rimpianto, si è chinata con commozione su un monologo bellissimo di Giovanni Testori e ha offerto un’apparizione miracolosa e conflittuale di sè stessa. Liliana ha emulato coraggiosamente attrici del calibro di Adriana Asti che recitarono in dialetto lombardo questa struggente richiesta di salvezza e redenzione di Gilda, la meretrice.
Liliana Chiari, da sola, ha ritoccato Testori, raccogliendo un suggerimento di Gigi Proietti. Ha imbottigliato il suo personaggio in un terribile ingorgo sentimentale, simboleggiato da una rosa scarlatta schiacciata ai piedi di un leggio, sul quale sono stati appoggiati i fogli delle sue memorie. È quasi notte quando l’attrice entra in scena sotto una gran massa di capelli folgoranti, scaglie di rosso che si staccano sul fondo oscuro del corpo fasciato da un abito non domestico. La voce sembra ruzzolata dalle pendici aride di un vulcano. È stata bruciata nel ventre del dolore, sputata fuori con rabbia da una donna ripudiata. La femmina ha il respiro sempre più difficile; sente, sotto il corpo ardente, la paura che il palcoscenico possa franare. Ha scheggiato la clessidra in mesi di prove. Finalmente ricomincia a muovere i timidi passi sullo stage osceno, senza scenografie. Liliana Chiari ha qualche incertezza nel ricordare, ma non è spacciata. Anzi arringa una piccola folla di amici che rivedono in lei i segni di una antica qualità, di una migliore qualità. Liliana Chiari torna sulla bocca di tutti i suoi estimatori. Gilda la rossa scaccia e disprezza il suo Giuda, ma non guarisce.
Liliana non ha escluso di cantare tanti celebri standard dedicati alla separazione tra due amanti, tratti dal repertorio dell’operetta e dalla musica leggera. Così, l’attrice dal carattere macedone unisce la sua vicenda artistica a quella del giovane maestro Camporeale, che suona il pianoforte avendo nelle dita tutti i sensori della ragione, dell’emozione, dell’intuizione, della memoria. Ed ogni nota è un ago infetto che ti passa nel cuore.