OGGI, 19 NOVEMBRE, IN MEMORIA DI MARIA GRAZIA CUTULI, GIORNALISTA E MARTIRE

di Francesco Monteleone

Quanti sono i giornalisti uccisi mentre facevano il loro lavoro? Nessuno li ha mai contati, è un numero che non fa notizia, eppure sono centinaia in tutto il mondo da quando è stata inventata la stampa. Anche i morti invecchiano, purtroppo e nessuno se ne ricorda più. Ma i martiri della verità vanno onorati, quando è possibile, perché la loro eliminazione non è una ‘normale perdita del posto di lavoro’ nell’era aperta da Gutenberg. Gli empi odiano le persone virtuose e considerano i giornalisti come delatori da sopprimere, perché svelano le trame scellerate di guerre, terrorismo, dittature, associazioni mafiose. Non è così. I giornalisti sono i più credibili testimoni delle vicende politiche e sociali; con il loro coraggio si oppongono a chi vuole occultare la verità e sperano sempre di poter raccontare come stanno in effetti le cose, affinché la vera storia non resti nascosta ai contemporanei e ai posteri.
Il 19 novembre 2001 fu assassinata a Sarobi, in Afghanistan, la giornalista catanese Maria Grazia Cutuli. Aveva compiuto da qualche giorno 39 anni. È passato tanto tempo, ma rivedere le sue foto ci lascia ancora attoniti, come allora. Oggi noi di Santippe vogliamo ricordarla, senza piagnucolare sul tragico anniversario, perché sentiamo il suo spirito sfinito sempre a noi vicino, essendo stata Maria Grazia una donna coraggiosa, una meridionale, una lodatissima dottoressa in filosofia.

‘Uno si fa la sorte da sé, l’altro la riceve bell’e fatta’ dice un pungente proverbio popolare. Maria Grazia Cutuli aveva seguito la solita trafila dei giornalisti non raccomandati (che in Italia sono la stragrande ‘minoranza’): aveva collaborato con il quotidiano ‘La Sicilia’ e con l’emittente televisiva Telecolor. Poi, senza più indugiare, aveva scelto Milano come habitat meno selvaggio e più avventuroso. Lì aveva afferrato il professionismo, illusoria patacca dell’Ordine dei Giornalisti, e si era data a un impegno vero, occupandosi di rifugiati per l’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite. Diventata grandicella, a 37 anni poté finalmente servire dignitosamente un padrone munito di autentica anima editoriale; infatti Maria Grazia ebbe l’assunzione dal Corriere della Sera (meglio tardiva che mai)

Il 13 settembre 2001, due giorni dopo gli attentati alle Torri di New York, fu inviata in Afghanistan. I giornalisti amano rischiare e trovano sé stessi di più nei boschi che nei libri, ma ‘chi fruga il fuoco provoca scintille’. Il 19 novembre dello stesso anno, mentre si trovava nei pressi di Sarobi, sulla strada che da Jalalabad porta a Kabul, Maria Grazia fu uccisa con colpi d’arma da fuoco alla schiena. (e con lei persero la vita l’inviato di El Mundo e due corrispondenti dell’agenzia Reuters). Fino a quel giorno, guardando il mondo a rovescio per svelarne i misteri, Maria Grazia aveva scritto centinaia di pezzi non stereotipati; il suo ultimo articolo si concentrava sulla scoperta di un deposito di gas nervino nella base di Osama bin Laden.

Forse bisognerebbe far guerra alle guerre. Noi che non sappiamo farci domande sui massimi sistemi, però vorremmo sapere qual è il senso della vita, per l’assassinio di una collega stimatissima, ricevemmo una risposta consolatoria. Nell’autunno 2004 fu accusato del suo omicidio il ventinovenne Reza Khan. Pensammo immediatamente: ‘Si faccia a lui quanto egli ha fatto agli altri’ come prescrive nel Levitico la Legge del Taglione; 3 anni dopo fu fucilato (anche contro il volere dei genitori di Maria Grazia). In seguito vennero scoperti altri due infami imbecilli che avevano partecipato all’agguato, rubando alla giornalista una radio, un computer e una macchina fotografica.
Grazie a Dio (se Dio esiste) Maria Grazia, negli anni successivi, ha continuato ad essere causa della nostra pensosità. Per lei ci sono premi giornalistici, si è creata una fondazione con la Federazione Nazionale della Stampa, le sono state intitolate strade, scuole e dedicati libri e documentari. Essendo stata al Corriere della Sera la seconda vittima del terrorismo dopo Tobagi, è stata promossa ‘inviata speciale’. Il Comune di Milano ha iscritto il suo nome nel Famedio (il tempio che custodisce la memoria dei personaggi illustri) all’interno del Cimitero Monumentale.

Maria Grazia in realtà è sepolta nel cimitero di Santa Venerina, un comune vicino Catania.
Chi si trova a far lì una sosta le porti un fiore per conto di tutti i suoi colleghi che non la dimenticheranno mai.

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