DARIO FABBRI ED IL SUO “MISTERO”

di Giulio Loiacono

Mi trovo davvero in difficoltà a scrivere di questo, perché il sottoscritto, nel 2019, Dario Fabbri lo ha conosciuto, sia pur brevemente.  Non una conoscenza approfondita, per carità, ma ciò avvenne in una pausa di una sua relazione tenuta alla Società Dante Alighieri di Cambridge. Come sempre, ne apprezzai quella sua allampanata ironia tutta romana, accompagnantesi a quel suo fare dinocccolato da spilungone e quel faccione da Nosferatu, che ne dipingeva un quadro da guru un po’ misterico, un po’ scanzonato, al buffet, dal pesante gusto agliato di quel catering tutto italoamericano che solo qui hanno la magnanimità di offrirti. Lì m’apparve come un ragazzo brillante dalle idee un po’ estreme soprattutto quando parlava della Lega come del primo esempio di partito separatista prima e nazionalista poi. Convincente, nel suo excursus europeo, quando definì la Germania come sostanzialmente spaccata in due, non longitudinalmente ma trasversalmente, in quanto un sud cattolico, tradizionale e solidamente da big corp, contrastasse con un nord sostanzialmente paraluterano, agnostico sin quasi oltre il nichilismo. Ora, questo elemento fideistico nel popolo che, quasi come un organismo umano, si muove e si appaga dei suoi bisogni e si incista in un territorio di cui assumerebbe dei caratteri e ne permeasse dei propri restituendo ad esso dei caratteri umani, ossia la geopolitica e la sua presunta “soggettività”, devo dire, col tempo, mi ha messo in crisi circa la sua autenticità come “scienza”. Definire, partendo da una tabula pressoché rasa, questa come una disciplina da prender sul serio, mi è apparso vieppiù ridicolo soprattutto da quando l’emergenza di questo conflitto ha dovuto dividere Europa da Occidente e questo dal resto del mondo desideroso di fuggire da una spietata dittatura di cui si ha bisogno, ossia quella “feroce” statunitense. Ora, queste ultime non sono riflessioni esplicite del Fabbri, per carità. Esplicite, dico. Un po’ implicite, però, devo ammettere lo sono. Questo mi offre anche il destro per allargare, non solo al Fabbri, ma forse a suoi epigoni, il discorso. Sono entrato in polemica, devo dirlo, anche con chi, prendendo spunto da questo conflitto, in alcuni casi dismettendo il presunto camice del virologo e passando, armi e bagagli, a descrivere il mondo con cartine sullo sfondo e “geolocalizzazioni”, altra parola in voga, di presunte conquiste militari. Questi soggetti-perdonatemi, io seguo solo YouTube, per brevità di tempo e distanza geografica, non la televisione italiana che giudico detestabile ed al servigio di un giuoco doppio tipico nostrano-popolano questi canali che streamizzano dirette interminabili con discussioni tematiche oceaniche e contraddittorie. Uno di questi”esperti”, che pur stimo perché ha preso una posizione da una parte-quella ucraina-che io sostengo, visto il successo che ha, almeno tra i carbonari della rete, si è avventurato in un paragone ardito tra geopolitica, che lui contesterebbe per la sua presunta soggettività, e geografia, che si farebbe preferire per una maggiore oggettività, quale quella, in sintesi, espressa dai confini. L’uomo, che è intelligente quanto  permaloso, ad una mia obiezione che ruotava, in sostanza, intorno al fatto che anche la geografia non manca di soggettività ed arbitrarietà, se si vuole, come dire, dialettico posthegeliana, si è inalberato e, sul suo profilo, ha cominciato a polemizzare ai miei interventi su temi squisitamente tecnici attorno alle caratteristiche di alcuni sistemi d’arma e sul loro dislocamento, più come scelta tecnica che, come sosteneva il sottoscritto, come scelta politica, cui l’esercito è e deve essere assolutamente subordinato ed al servizio. Intelligenti pauca, dicevano gli antichi. 

Ebbene, al di là della polemica:” Fabbri è laureato o meno?”, il senso è duplice: uno, soggettivo, se si vuole. Fabbri è tenuto a dire la verità. Chiunque si ammanti di un ruolo pubblico è chiamato a sciorinare dei titoli, se li ha. Uno può divenire esperto degli equilibri mondiali senza aver completato gli studi universitari. Ci sta. Ma, se si è guru, lo si deve essere con una carta di un’Università perché, se ci si affaccia ad uno schermo, si presume che, almeno, qualche straccio di titolo uno si sia affannato a conseguirlo. Un’altra riflessione, in conclusione, appare più generale o, se si vuole, più oggettiva. Il mio professore, del quale sono stato assistente volontario all’Università per una dozzina d’anni, quando gli presentai un progetto di un paper, come si dice oggi, mi disse:” L’ho letto. A me colpisce sempre molto quando i miei collaboratori si impegnano nella ricerca e cercano di offrire soluzioni…”. Non disse altro. Capii. Ora, tutti questi che sciorinano competenze derivanti dalle loro passioni, ingenue o furbesche che siano, sono apprezzabili nel tentativo di ricercare e offrire soluzioni, però… però rimangono dei praticoni, o forse degli stregoni. Speriamo non degli apprendisti stregoni dai CV incerti.

 

 

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