LA FALSA CONGIURA DI CATILINA

di Ermanno Testa

Quo usque tandem abutére, Catilina, patientia nostra? È la celebre invettiva con cui l’8 novembre del 63 a.c. il console Cicerone rivolto a Catilina, isolato nel suo seggio da cui tutti gli altri senatori si tengono lontani, apre la sua arringa accusatoria denunciandone i peggiori misfatti perpetrati ai danni della Repubblica romana. Cicerone, compiaciuto del suo discorso, ne redasse il testo, insieme alle altre “Catilinariae”, che andarono ad aggiungersi alla sua ricca produzione letteraria, assai letta e apprezzata nei secoli. È così che l’autorevolezza riconosciuta al Cicerone scrittore si è estesa al Cicerone politico, figura in realtà di ben minore rilievo se inquadrata in quel turbolento ultimo cinquantennio della Repubblica romana. Così su Catilina per oltre venti secoli è rimasta l’impronta (e l’onta) del congiurato, rotto a tutti i misfatti e capace per avidità di potere dei più tremendi crimini contro la patria. Un’immagine negativa ripresa da molta letteratura e da artisti che ne hanno ritratto il personaggio in atteggiamenti torbidi, votati al male.

La realtà molto probabilmente fu ben diversa.

L’avvenimento si colloca a meno di venti anni dopo la dittatura di Silla e a trenta dalla battaglia di Azio da cui prenderà avvio, con il Principato di Augusto, il passaggio di Roma dalla forma repubblicana all’Impero. Si tratta di un periodo particolarmente turbolento per la città, ormai dominatrice di gran parte dell’Europa e delle zone limitrofe del Mediterraneo. A parte i territori più caldi di recente conquista, diverse popolazioni fanno ormai parte stabilmente della nuova realtà statuale romana e reclamano, in riconoscimento di questa integrazione, diritti alla pari degli altri cittadini romani. La stessa Roma si è di molto ingrandita accogliendo genti provenienti da ogni parte dei territori conquistati. Cresce la plebe che sempre più si accalca nella città. Tuttavia il governo di un territorio divenuto assai esteso e variegato è rimasto quello dei tempi della messa al bando della monarchia, affidato a due consoli eletti di anno in anno e non rieleggibili per almeno dieci anni; e con il potere, nella sua continuità, concentrato nelle mani del Senato, composto in gran parte da esponenti di una oligarchia di antiche famiglie patrizie arricchitesi oltre ogni limite con le guerre di conquista. Un sistema istituzionale non più adeguato a gestire le forti tensioni sociali e i problemi legati alle nuove conquiste territoriali: distribuzione delle prede di guerra, assegnazione delle terre ai veterani, definizione dei rapporti economici e politici con le popolazioni entrate a far parte della nuova compagine statale, estensione della cittadinanza romana a quei popoli da tempo integrati nella società romana. È in questa condizione di debolezza politica che nel 73 a.c. esplode la rivolta degli schiavi guidata dai gladiatori Spartaco e Crixus che per qualche anno dilaga nell’Italia centromeridionale; e che in Hispania il generale Sertorio organizza una secessione costituendo uno stato antiromano: la repressione in entrambi gli eventi richiede misure belliche straordinarie. Pur di fronte a queste difficoltà il Senato fa di tutto per contrastare ogni tentativo di cambiamento istituzionale che comporterebbe di conseguenza una riduzione del proprio potere. Neanche i populares, cioè quegli optimates disponibili a qualche cambiamento, riescono ad ottenere alcuna trasformazione che tuttavia, di lì a qualche anno, dopo un periodo di guerre civili e di dittature, comunque avverrà con il passaggio al regime imperiale.

In questo quadro storico-politico-istituzionale quale è stato il ruolo di Catilina?

Lucio Sergio Catilina, discendente dei Sergii, secondo Virgilio una delle famiglie originarie nella storia dell’Urbe da tempo decaduta, da giovane segue il generale Strabone nella guerra marsica, passa poi agli ordini di Silla e lo segue in Asia nella prima guerra mitridatica. Dagli storici contemporanei, così come avverrà per quegli imperatori romani detestati dal Senato, Catilina viene descritto già in questa fase come un depravato, violento, omicida, sebbene vigoroso. Dopo l’esperienza della guerra ottiene i primi successi politici e inizia il cursus honorum: questore nel 78, legato in Macedonia nel 74, edile nel 70, pretore nel 68, proconsole in Africa nel 67. Nel 66 a.c. si candida alla carica di console ma viene prima accusato di concussione e abuso di potere uscendone assolto, poi di cospirazione, accusa dalla quale pure risulterà assolto ma che gli impedisce, essendo sotto processo, di candidarsi per tempo al consolato. Catilina può ricandidarsi a console solo nel 64 a.c. ma il Senato, allarmato dalla sua popolarità, gli oppone un brillante e famoso avvocato, Cicerone, Homo novus poiché di origine provinciale, che vince le elezioni e diventa console grazie alla mobilitazione delle clientele degli optimates. Catilina si candida di nuovo al consolato per il 62 a.c. con un programma che prevede l’assegnazione delle terre demaniali, la ridistribuzione delle prede di guerra e la remissione dei debiti. Ma di nuovo trova l’opposizione strenua della classe senatoria, particolarmente allarmata, e di Cicerone: entrambi sostengono apertamente Murena, un candidato loro fidato, avversario di Catilina, il quale risulta vincente. Nell’orazione Pro Murena Cicerone sottolinea in Catilina “…la ferocia, il delitto nel suo sguardo, la tracotanza nei suoi discorsi come se già avesse agguantato il consolato”. Più d’uno però, e non solo Catilina, ma anche personaggi a lui ostili come Catone Uticense, solleva l’accusa di brogli elettorali. Catilina riunisce i suoi seguaci e poi si reca in Senato convocato d’urgenza presso il Tempio di Giove Statore sul Palatino, luogo più protetto in caso di attacchi, mentre presidi armati vengono posizionati in vari luoghi della città a prevenire lo scoppio di disordini. In Senato viene accolto da Cicerone con la famosa arringa in cui lo accusa delle peggiori malefatte e lo minaccia pubblicamente richiamando alcuni esempi passati di omicidi politici, come quello di Tiberio Gracco, giustamente ucciso, secondo Cicerone, per aver tentato di sovvertire l’ordine repubblicano. Catilina è costretto a una fuga in Etruria, in “esilio volontario”, per riunirsi ad alcuni dei suoi. Altri illustri compagni, rimasti a Roma, vengono imprigionati e strangolati senza processo nel carcere Mamertino. Quanto a Catilina e ai suoi, la sua fuga verso la Gallia Cisalpina viene intercettata nei pressi dell’odierna Pistoia da ben due eserciti. Costretto alla battaglia, a nulla vale il nobile discorso di incitamento ai suoi: “…noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita; per loro (i nemici) è superfluo combattere per il potere di pochi. Perciò, attaccate con maggior audacia, memori dell’antico valore!” (Sallustio, De coniuratione Catilinae). Al termine dell’impari scontro Catilina viene trovato, ormai morente, circondato dai corpi di numerosi nemici.

La storia in genere la fanno i vincitori. E di congiura di Catilina, da allora in poi, si parlò. Ma molti indizi e testimonianze, riconsiderate criticamente, inducono oggi a una diversa, se non opposta valutazione. Di antica e nobile stirpe, Catilina mostra forte personalità e coraggio; possiede una indubbia vigoria fisica alla quale si associano doti di intelligenza non comuni. È un politico abile se riesce ad avere un seguito così variegato: plebei, piccoli proprietari terrieri, rappresentanti degli equites, giovani di famiglie illustri, personalità in vista, come Cesare – che Sallustio si preoccuperà vent’anni dopo, con la sua storia della congiura, di scagionare dal sospetto di collusione con i congiurati -. Il suo rapporto con i Galli Allobrogi, che viene trasformato in prova di accusa, segnala l’attenzione alle questioni riguardanti i popoli italici. Lo stesso Cicerone alcuni anni dopo a proposito dei congiurati (Pro Caelio) scriverà di “persone forti e buone” e soprattutto di un Catilina “…buon cittadino, appassionato ammiratore degli uomini migliori, amico sicuro e leale… gaio, spavaldo, attorniato da uno stuolo di giovani…”: dunque, un uomo politico di successo, propugnatore di riforme, capace di ottenere consensi, e per questi motivi fortemente temuto dagli optimates. La congiura dunque, con l’ostruzionismo ripetuto attraverso accuse infondate contro la sua elezione a console, i brogli elettorali, le riunioni straordinarie del Senato in luoghi protetti, la creazione di presidi militari di controllo della città, l’uso di delatori e delatrici poco convincenti e di dubbie missive rivelatrici di trame; l’accusa di riunioni segrete che segrete non erano; l’omicidio in carcere senza processo di alcuni sostenitori di Catilina; l’uso, infine, di ben due eserciti in funzione di polizia per annientarlo, in coerenza con quanto invocato in Senato dal console Cicerone, pedina dell’oligarchia con i poteri di un Senatus consultum ultimum, inducono a pensare piuttosto a una congiura di Stato ad opera del Senato contro i ripetuti tentativi di un politico di rango e con largo seguito di accedere per vie istituzionali normali – oggi diremmo per via democratica – al governo della repubblica.

La congiura fu dunque una montatura dell’apparato dello Stato mirante a stroncare, in una Repubblica romana ormai alle corde, un possibile temuto tentativo di riforma.

                                                                                                          

 

 

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