di Francesco Monteleone
Questo pezzo è stato scritto dal solito pigropollo il quale aveva intuito (ma non era difficile) che in questo film i dialoghi sarebbero stati preminenti e, senza un motivo morale o materiale, si è messo in poltrona senza notes.
Il risultato è che quelle 4-5 battute folgoranti sul mestiere del giornalista le ha dimenticate (tutte) appena sentite, per colpa dell’età, e ora nessuno di voi lettori rimarrà abbagliato dalle citazioni.
Eccetto una, detta da Katharine Graham (Meryl Streep) editrice conservatrice del Washington Post al suo direttore responsabile Ben Bradlee (Tom Hanks): “Le notizie sono la prima bozza della storia”; è una intuizione sorprendente ed efficace. (Sarà per questa ragione che il pigropollo vive accampato in mezzo a decine di quotidiani scaduti da tempo).
Non si fanno molti lungometraggi sui giornalisti; sono intellettuali ibridi che allungano i fatti senza poterli ravvivare con un poco di poesia o filosofia. I giornalisti non attraggono il grande pubblico cinematografico che vuole fighe al forno, supereroi alieni, ladri nobili e assassini strapazzati.
Perciò quando arriva dalle fantastiche mani di un grande regista una storia vera di giornalismo autentico, bisogna correre a vederlo. “Don’t walk” è la battuta madre del film, la fonte di tutte le sorprese. “Non fermarti” verso la verità, senza inciampare nelle paure e nei ricatti.
La trama vi divertirà, fino alla fine. Noi, ripensando al soggetto, possiamo confermare che se editore, direttore e giornalisti sono coraggiosi allo stesso modo il loro popolo guadagna tanta libertà e altrettanta civiltà. (Purtroppo non la verità, che viene sempre assassinata dai potenti, i quali si conservano le sue spoglie con gusto macabro. Ma capirete meglio le allusioni dopo che avrete ammirato questo energizzante film di Spielberg.
I fatti narrati accaddero nel 1971, ai tempi di Nixon, che fra tutti i suoi simili è stato il più prepotente, bevente, indecente, presidente senza patente d’America (e John Fitzgerald Kennedy non è stato certamente il migliore)
La guerra del Vietnam aveva già fatto molti danni, ma le vere cause di tanto dolore non si conoscevano bene, fin quando non entrarono in scene i fuoriclasse delle testate più prestigiose. I duelli fra Nixon e la stampa americana furono gli scontri memorabili tra uno spirito preistorico e i crociati della libertà di espressione.
“I giornali seguono i governati, non chi governa” dice con la pelle di tigre sotto il tailleur Katharine Graham, l’eroina del film che servirebbe qui, oggi, da noi, in questo periodo pre-elettorale gestito da uomini sfacciati e vili.
The post finisce con l’inizio di un’altra storia, quella di alcuni ladri che entrarono nell’albergo Watergate, per rubare documenti ai democratici…ma il regista aveva già spento le macchine.
Si accendono le luci in sala; tra gli spettatori ci sono anche i nostri giornalisti, sottopagati, sfruttati, accusati spesso di essersi venduti, che una volta tanto alzano la testa con orgoglio e, uscendo dal cinema, sperano di essere riconosciuti.