di Giulio Loiacono
Mi dispiace, davvero, sono affranto: ma devo parlare male, anzi malissimo, di Carlo Verdone. A parte il fatto che, nella sua vecchiaia, assomiglia in un modo incredibile a suo padre – e questo non è una critica, ma una constatazione- , forse del padre sta assumendo quella che era una mia impressione quando lo vedevo accanto al figlio in ormai vecchi spezzoni video. Quella che ne ricavavo era un’impressione di profonda tristezza, quasi una mesta cattiveria, figlia dell’età, ma anche di quella amara concretezza che si chiama appunto vecchiaia…
Ecco, a me, il Carlo di questa serie, uscita per Amazon Prime Video e che ho recuperato, da expat, grazie al santo deep internet, sembra stancamente “impegnato” a reintrodurre un altro della sua galleria di personaggi: quello definitivo, quello dello stanco realista, pieno di problemi ed ansie, ossia anche il secondo Carlo, quello del dopo avanspettacolo televisivo, quello che si volle emendare dalla macchietta.
Ma, se quel Carlo, dei primi anni novanta, davvero credeva che si potesse uscire dai personaggi per indagarsi, e non ce la faceva, questo Carlo, single distrutto e che “ per opportunismo” cavalca finzione, realtà, politica, tentazioni di potere e di carne, che lui schianta al suolo con quel suo faccione “ da che volemo fà”incorporato, tanto qui “ nun se sarva nisuno”, non convince.
È il pariolino, che fa finta di discendere negli inferi dei suburbia dell’animo, ma che poi è troppo distante “dar coatto “del Gallo Cedrone, sua nemesi e sua tortura, e se ne distanzia.
Molti hanno lodato anche il povero Max Tortora, ma mi sa che anche lui “se porta a casa a pagnotta”, giuocando a fare il Sordi di due metri, con troppa, tanta tristezza ed opacità dentro.
Mi verrebbe da dire affresco di una vita da c…, ma è solo una vita da Carlo.
Scusatelo anche per me che credo ancora che l’Italia abbia un futuro.