UNA FIACCOLATA PER LUCIA, VITTIMA DI FEMMINICIDIO. UNA PIAGA CRESCENTE NELLA SOCIETÀ DEL CONSUMISMO

di Carmela Moretti

Quando mi è giunta la notizia del femminicidio di Lucia, una mia compaesana di 74 anni, io mi trovavo a Bari per la processione dei Sacri Misteri del venerdì santo. Mentre le statue peregrinavano per le vie del capoluogo pugliese e riproponevano il lancinante dolore di una madre al cospetto del figlio morto, mi ha agghiacciato il pensiero che altri figli stessero piangendo in quello stesso istante una madre, barbaramente uccisa dal marito con quaranta colpi di forbici.

Nello stesso pomeriggio, poi, ho avuto modo di scambiare due battute sull’accaduto con un giornalista di una testata regionale, il quale ha esclamato: “Se vogliamo, anche questa è una conseguenza della società del consumismo”, accendendo un flash su una questione che di fatto trova poco spazio nel dibattito sulla violenza di genere e sulla violenza in generale. Unitamente all’imperare della cultura patriarcale – questione prioritariamente all’origine di questa piaga sociale – ci fornisce una chiave di lettura in più per andare a fondo di un fenomeno complesso e, pertanto, non riducibile a un’unica causa.

È indubbio che il capitalismo e la società dei consumi ci abbiano educato alla logica del denaro e del possesso. Qualora la disponibilità economica ce lo consenta, possiamo comprare davvero di tutto: il corpo che abbiamo sempre sognato, grazie alla chirurgia estetica; il diploma di laurea tanto vagheggiato, attraverso percorsi facilitati e a pagamento; gli ultimi modelli tecnologici, per non essere fuori dai trend del momento. Tutto questo, persino con un click, stando comodamente seduti nelle nostre confortevoli case, senza neanche prendersi l’impiccio di incontrare volti per creare un contatto.

Forse le relazioni umane ci spiazzano per questo. Come spiegare all’ io “consumista” che “l’altro” entra a fare parte delle nostre vite, ci compenetra nell’intimo, ci sconquassa l’esistenza, ci fa sprofondare nelle zone più buie del nostro essere, ma non ci apparterrà mai? Come accettare che quell’individuo resterà per sempre “altro da me”?

Probabilmente, per far sì che la logica del possesso materiale non continui a essere traslata al possesso umano, oltre a una sempre più urgente educazione sentimentale, servirebbe anche una rieducazione ai consumi. Occorre imparare a guardare al consumismo per ciò che è davvero, cioè una dittatura, per riprendere Pier Paolo Pasolini, che tale lo definì in un articolo profetico del 1973. Allo stesso modo, il sociologo Bauman definì la società dei consumi un inganno: essa crea un desiderio, che spesso non coincide con un bisogno reale, e ci mette nelle condizioni di estinguerlo, senza per questo provare mai una soddisfazione piena e assoluta. Pubblicità, social e tv, poi, ci forniscono su un piatto d’argento l’illusione di poter essere “possessori” di tutto, senza mai rivelarci come stanno realmente le cose. Vale a dire, che nulla ci appartiene davvero né mai ci apparterrà per sempre, e che quell’oggetto tanto desiderato non ci ha reso necessariamente più liberi, ma al contrario ci ha perlopiù soltanto sedotti.

E allora, tutto questo non dovrebbe valere ancora di più per le persone? Le quali hanno gambe per andare dove vogliono, anche lontano da noi; hanno bocche, cuori e teste per esprimere ciò che pensano e sentono, anche in contrasto con ciò che pensiamo e sentiamo noi. L’altro è un’alterità che non si può possedere.

A Lucia è stato negato tutto questo dall’uomo a cui ha donato sé stessa.  Le è stato negato il diritto di essere un’entità autonoma, libera, affrancata da quel marito con cui si accompagnava da una vita intera. Mariotto, piccola frazione di Bitonto, l’ha ricordata con una fiaccolata, a cui ha partecipato un fiume di compaesani commossi, insieme a istituzioni e rappresentanti dell’associazionismo locale. Tutti insieme, proprio come hanno visto fare in televisione e mai immaginando che un simile dramma potesse consumarsi in “casa propria”, hanno percorso le vie del paese e deposto lumi davanti all’abitazione della vittima.

Una scena che parla di urgenza di andare all’essenza del fenomeno, di assunzione di responsabilità, di ricerca di soluzioni efficaci, a cui fa da contraltare la recente triste immagine di un’aula del Senato vuota, durante la discussione del ddl sulla violenza contro le donne.

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