di Carmela Moretti
“È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio”.
Questo è il primo dei “principi necessari per tacere”, elencati in un efficace libellus dell’Abate Dinouart, ecclesiastico poligrafo del XIII secolo. È ritornato alla nostra mente proprio oggi, quando abbiamo letto su tutti i giornali che Vittorio Feltri ancora una volta ha perso una straordinaria occasione per tacere, dando prova di mancanza di misura e padronanza di sé.
Infatti, se la parola iperbolica, spropositata, talvolta sconveniente è pane quotidiano della tv, dei social network e di certa politica, il silenzio – inteso come meditazione prudente e penetrante – non può non essere l’arte di coloro che nella vita scelgono di occuparsi di informazione e cultura.
Feltri, con il suo attacco rivolto a Camilleri (“finalmente non vedremo più in televisione Montalbano, un terrone che ci ha rotto i coglioni”) ha purtroppo mostrato di non aver maturato, alla bella età di 75 anni, quella saggezza socratica che si confà agli uomini di penna: vale a dire, l’umiltà di stare zitti quando si rischia di risultare avventati, sgradevoli, imprudenti.
E avventato il direttore di Libero purtroppo lo è stato, nel momento in cui ha dimenticato che autore e personaggio letterario non sempre coincidono e che con uno non è detto che sparisca anche l’altro. Montalbano è nel cuore degli italiani tanto quanto Camilleri: probabilmente sopravvivrà al suo ideatore, come don Abbondio a Manzoni.
Sgradevole lo è stato altrettanto, nel momento in cui si è lasciato trasportare dalla passione brutale di fare considerazioni su un uomo ricoverato in prognosi riservata, dando prova – dopo razzismo, sessismo e maschilismo – anche di mancanza assoluta di compartecipazione.
E l’imprudenza l’ha raggiunta, sicuramente con cognizione, giacché a furia di perdere contegno per acchiappare lettori (opportunismo tipico di un certo tipo di informazione) è uscito spudoratamente dai confini deontologici, cioè dall’insieme di regole che gestiscono l’attività di ogni giornalista.
Quest’ultima, professione complessa e straordinaria, che richiede mille e mille competenze, cominciando pur sempre da un controllo assiduo della convenienza delle proprie parole.
L’amore per Camilleri e Montalbano è sbocciato in me tanti anni fa, prima con la lettura dei libri del Maestro, poi con la visione dei film tratti da essi. Si è allargato, questo amore, alla Sicilia e alla sua lingua, concretizzandosi in un viaggio meraviglioso, risalente ormai a quasi vent’anni fa, ma scolpito indelebilmente nella mia memoria. Questo è quel che conta, per me. Feltri, invece, non conta nulla, anzi, diventa sempre più fastidioso, perdendo ogni volta l’occasione di tacere…