UN «AMORE DIFFICILE», TRA TORQUATO TASSO E PAOLO FINOGLIO

di Trifone Gargano

Olindo ama Sofronia con tutto sé stesso, fino alla follia, fino ad auto-accusarsi di un crimine che non ha commesso, per salvare la donna, ma rischiare la condanna a morte. Sofronia, invece, non ricambia l’amore di Olindo, perché lei è tutta concentrata sulla missione che deve svolgere, in quanto soldato dell’esercito di Cristo, rifiutando la sua offerta d’amore. Dunque, un «amore difficile», se non impossibile, quello che racconta Torquato Tasso (1544-1595) nel secondo canto della sua Gerusalemme liberata, poema cavalleresco con impianto (ideologico) cattolico, che ebbe una storia editoriale molto tormentata, fino a procurare non pochi problemi all’autore, tra censura ecclesiastica e condanna alla reclusione, per ben sette anni, nel carcere psichiatrico di sant’Anna (a Ferrara). Tasso aveva completato il poema nel 1575, ma ritenendosi insoddisfatto del lavoro svolto, e, soprattutto, temendo di essere colpito dall’Inquisizione, si sottopose più volte volontariamente a giudizi ed esami. Ho pensato di celebrare la giornata di san Valentino con questa singolarissima storia d’amore, tra Olindo e Sofronia, un amore, appunto, difficile, tanto per evocare altri «amori difficili», quelli raccontati da Italo Calvino (novelle pubblicate nel 1970).

Come ho già scritto, l’intero episodio della (non) storia d’amore tra Olindo e Sofronia lo si può leggere alle ottave 14-53 del canto II della Gerusalemme liberata. L’episodio di Olindo e Sofronia, che calvinianamente potrei intitolare “L’avventura di due soldati”, funge da autentico intermezzo narrativo, rispetto al resto del poema. I due giovani cristiani, infatti, si auto-accusano del furto di un’icona sacra, pur non avendolo commesso, gareggiando in eroismo, spirito di sacrificio, e amore (da parte di Olindo, che, come ho scritto, viene ignorato da Sofronia). Olindo, per amore, si assume la colpa del furto sacrilego, ma il crudele re Aladino, irritato dal duplice gesto di auto-accusa, sentendosi preso in giro dai due ragazzi, dispone di giustiziarli entrambi, con il rogo. L’arrivo improvviso di Clorinda, fortissima guerriera musulmana, di cui è innamorata l’eroe crociato Tancredi, che, in un memorabile duello notturno, non riconoscendola, la ucciderà), salverà entrambi.

L’episodio del mancato supplizio dei due giovani, legati tergo a tergo ad un unico palo, con quelle “funi” che li tengono ben stretti, evidente metafora del loro amore, e con quei loro corpi denudati e pronti a essere divorati dalle fiamme del rogo (altra metafora potentissima del “fuoco” della passione, che consuma gli amanti), scatenò l’intervento censorio dell’Inquisizione, su queste ottave del poema, giudicate lascive, fino a imporre di estrometterle dal poema. La censura fu severa e immediata. Queste ottave di Tasso, dedicate al supplizio dei due giovani (innamorati), furono giudicate spregiudicate, se non proprio pornografiche, nel più generale clima della contro-riforma tridentina, che caratterizzava la vita culturale italiana (ed europea) a partire dalla seconda metà del Cinquecento:

Sono ambo stretti al palo stesso; e vòlto
è il tergo al tergo, e ‘l volto ascoso al volto

Olindo, piangendo, confessa a Sofronia il suo amore, con un certo trasporto voluttuoso:

Quest’è dunque quel laccio ond’io sperai
teco accoppiarmi in compagnia di vita?
questo è quel foco ch’io credea ch’i cori
ne dovesse infiammar d’eguali ardori?

Altre fiamme, altri nodi Amor promise
altri ce n’apparecchia iniqua sorte.

Lasciandosi andare, poco dopo, in pensieri lascivi, pensieri da innamorato (non certamente da guerriero):

[…] giunto seno a seno
l’anima mia ne la tua bocca io spiri

Sofronia, invece, è personaggio modellato sugli esempi delle vergini bibliche; ella è guerriera pudica e santa, e tiene lontano Olindo, pur in punto di morte, non lo ascolta, anzi, lo rifiuta sdegnosamente. Sofronia non si cura affatto di lui, non vede e non sente il suo amore, tutta concentrata com’è sulla sua missione, contro i musulmani:

Amico, altri pensieri, altri lamenti,
per più alta cagione il tempo chiede.

Tasso, presentando Sofronia, aveva insistito proprio sul suo carattere di vergine cristiana, bellissima donna, certo, ma che non curasse affatto la sua bellezza e gli ardori umani:

Vergine era fra lor di già matura
verginità, d’alti pensieri e regj:
d’alta beltà, ma sua beltà non cura,
o tanto sol quant’onestà sen fregi.

Olindo, invece, della stessa città di Sofronia, l’ama in silenzio, da sempre, l’ama non visto, o, peggio, non gradito. Sofronia è del tutto refrattaria all’amore terreno, ai sospiri dell’uomo; ella non può perder tempo con l’amore terreno:

Ei che modesto è sì, com’essa è bella,
brama assai, poco spera, e nulla chiede;
né sa scoprirsi, o non ardisce: ed ella
o lo sprezza, o nol vede, o non s’avvede.

Così finora il misero ha servito
o non visto, o mal noto, o mal gradito.

Paolo Finoglio (1590-1645), pittore napoletano tra i maggiori del Seicento, fortemente influenzato dallo stile caravaggesco (per gli effetti di luce, che si possono ammirare nei suoi quadri), fu attivo a Conversano nella prima metà del Seicento, a partire dal 1635, per volontà del conte Giangirolamo II Acquaviva, detto il Guercio delle Puglie, per il quale realizzò il ciclo pittorico, appunto, della Gerusalemme liberata (oggi, nelle sale del castello conversanese). Finoglio, in precedenza, era già stato in Puglia, a Lecce, in modo particolare, lasciando in giro tracce della sua opera. Tra le tavole del ciclo dedicato alla Gerusalemme liberata (splendide e gigantesche), una di esse raffigura il supplizio di due personaggi minori del poema di Torquato Tasso, Olindo e Sofronia, immortalati mentre sono legati a un palo, in procinto di essere giustiziati, per ordine del crudele re musulmano Aladino.

Assume, dunque, particolare valenza culturale, direi di vera e propria sfida culturale, nei confronti del clima controriformistico imperante al tempo, la presenza di questa tela, all’interno del ciclo dedicato alla Gerusalemme liberata, con l’episodio di Olindo e Sofronia, che, invece, in quegli stessi anni, veniva discusso e censurato, da parte dell’Inquisizione. Come si può ben notare, guardando la tela, grazie al gioco della luce, Finoglio colloca in primo piano, al centro di tutta la scena, la bella Sofronia, raffigurandola in tutto il suo candido splendore femminile (facendole indossare proprio la veste candida delle vergini), con tutta la sua prorompente (e conturbante) bellezza di donna (il seno è quasi del tutto scoperto, il petto è candido e nudo, lascivo, il piede fa capolino da sotto la veste, bianco e invitante, e la stessa posa del corpo, che accenna a un movimento sensuale, da amante, non da giustiziata, le labbra sono rosse, appena dischiuse, quasi ad accennare un bacio). Sia nella tela di Paolo Finoglio, che nella pagina di Torquato Tasso, Sofronia è donna bellissima, che mal s’adatta ai modelli della contro-riforma.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.