THE FRONT RUNNER – IL VIZIO DEL POTERE, di Jason Reitman, USA, 2018

di Francesco Monteleone

Sono passati tanti anni dal 1988; da allora, in Italia, i mass media ci hanno orientati ad ammirare le prestazioni boccaccesche di Silvietto con le sue mantenute. Così abbiamo dimenticato facilmente l’insolito scandalo di Gary Hart e Donna Rice, che questo ottimo film ha ricostruito con arte e sentimenti.

In illo tempore Gary Hart era un senatore del Colorado, giovane, bello, intelligente e affascinante (le doti che ha Salvini) e con tante qualità stava stravincendo la nomina a candidato presidenziale per il Partito Democratico. In sostanza sarebbe diventato il presidente degli americani, ma in terra e in cielo sapevano di una relazione con la modella Donna Rice e a quel popolo non piacciono i politici bugiardi.

Ebbene, invece di lasciare la modella, farsi eleggere l’uomo più potente al mondo e comportarsi sessualmente come Kennedy e Clinton, il povero Gary Hurt, in un faccia a faccia con i giornalisti, giurò sulla sua fedeltà coniugale. E pochissimo tempo dopo si fece fotografare con la Rice su un panfilo, al largo delle coste della Florida. I giornalisti americani, che fessi non sono, decisero la fine della sua carriera politica, facendogli saltare la nomination per un’avventura di poco valore etico.

Gli psicanalisti in seguito spiegarono che Hurt, come molte persone famose o baciate dal successo, stava ricercando qualcosa che lo portasse alla rovina, per soddisfare la sua volontà autodistruttiva. Misteri dell’animo umano! Effettivamente, se ci guardiamo attorno, noi stessi vedremo che si aggirano in società tante persone, di ceti diversi, che praticano l’autolesionismo, una delle patologie mentali estremamente distruttive.

Il film è una ricostruzione perfetta di quel periodo storico e del destino di due amanti. Anche se proverete a scandagliare la personalità di Hurt, non riuscirete a trovargli malafede e incoerenza. In verità, quando si ama si è sempre troppo folli. Gary, interpretato magnificamente da Hugh Jackman rimane un simpatico ingenuo che poteva comandare su milioni di cittadini, ma trovò laborioso mentire sulla sua unica favorita.

Grazie a Dio la storia non insegna niente. Tutti i giorni sentiamo predicatori, soprattutto politici, che smentiscono nella vita pratica tutti i valori che invocano per gli altri. Rubano, tradiscono, fanno casini mostruosi, vengono scoperti e confessano, così le storie da raccontare non finiscono mai.

Il film è anche un’utilissima lezione di deontologia professionale per i comunicatori italiani, che usano ancora mezzi primitivi e triviali.

Non c’è dubbio: gli americani sono più bravi di noi a fare i giornalisti e a fare i film sui giornalisti.

(E complimenti al titolista italiano che ha colpito ancora con bieca ideologia e ruffiano moralismo).

 

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