STORIE …DI CORSA: DANTE E LODOLI. Noterelle di sport e letteratura

di Trifone Gargano

Il riferimento al Palio del Drappo Verde, che si correva a Verona fin dal 1207, per ricordare la vittoria della città sui conti di san Bonifazio e sulla famiglia Montecchi, è contenuto nei versi conclusivi del canto XV dell’Inferno (vv. 121-24):

Poi si rivolse, e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna; e parve di costoro

quelli che vince, non colui che perde.

[Poi si voltò indietro (si rivolse) [Brunetto Latini], e sembrò uno di coloro che a Verona corrono per la campagna il palio detto del drappo verde; e tra costoro sembrò quello che vince, non quello che perde]

Dante e Virgilio si trovano nel terzo girone del settimo cerchio infernale, tra i violenti contro Dio nella natura (i sodomiti). Costoro, così come in vita, furono lacerati da una irrequietezza inesauribile, adesso, sono costretti a camminare senza mai fermarsi, sotto una pioggia di fuoco, da cui tentano inutilmente di ripararsi, agitando le mani. Se si fermassero, sarebbero ulteriormente condannati a giacere per cento anni, immobili, sotto quella pioggia rovente, che ricorda la modalità con la quale Dio distrusse la città di Sodoma, famosa per la lascivia dei suoi abitanti (di qui, il vocabolo sodomiti), come si legge nella Genesi.

A Verona, la gara del Palio veniva disputata annualmente la prima domenica di Quaresima, ed era una festa a cui partecipava l’intera comunità. Al vincitore veniva consegnato un drappo di stoffa verde, con il quale avvolgersi. Come leggiamo dai pochi versi di Dante, il tracciato della gara era extracittadino, «per la campagna»; e, in effetti, dalle testimonianze giunteci, la gara partiva dal quartiere Tomba, si sviluppava lungo le mura cittadine, attraversava un campo, e, quindi, rientrava in città, per concludersi in San Fermo, importantissimo asse viario della città, tra le mura romane e l’Adige, che prendeva il nome dalla presenza, lungo il suo tracciato, del complesso monastico di San Fermo Maggiore (al cui interno, si trova, oggi, la Cappella Alighieri, realizzata a metà Cinquecento, dove sono sepolti gli ultimi discendenti diretti del poeta).

In questa zona dell’Inferno, Dante e Virgilio, mentre procedono lungo gli argini del Flegetonte, fiume ribollente, e di colore rosso sanguigno, incontrano una schiera di dannati (i sodomiti), che procedono in direzione opposta alla loro. Dante viene riconosciuto da un dannato, che lo tira per un lembo della veste: si tratta del suo (ex) maestro, ser Brunetto Latini. Il dannato, che non può fermarsi, percorre un tratto del sabbione in compagnia di Dante.

L’incontro è cordiale, e si svolge in un clima di reciproco rispetto e amicizia. Dante rivela a Brunetto di conservare ancora un caro ricordo di lui, e, soprattutto, dei suoi insegnamenti («m’insegnavate come l’uom s’etterna», v. 85). Brunetto lancia un’accusa contro i fiorentini, invidiosi, superbi e avari («gent’è avara, invidiosa e superba», v. 68). Infine, Brunetto scappa via velocemente, per raggiungere la sua schiera. Questo dettaglio, della corsa di ser Brunetto, consente  a Dante di ricordare il Palio veronese del Drappo Verde.

I quattro versi qui citati, ovviamente, non sono il solo luogo testuale del poema dantesco nel quale sono presenti espliciti riferimenti alle corse. Basti pensare, a tal proposito, alla rappresentazione, degli ignavi, nel canto terzo dell’Inferno, che corrono, nudi e flagellati dalla pioggia, mista a grandine e a neve, dai mosconi e dalle vespe, inseguendo vanamente uno straccio bianco;

 

oppure, si pensi ai golosi del Purgatorio (nei canti XXII-XXV, nella sesta cornice), magrissimi, e perennemente in corsa:

Né ‘l dir l’andar, né l’andar lui più lento
facea, ma ragionando andavam forte,
sì come nave pinta da buon vento [Pg., XXIV, 1-3]

[La conversazione (‘l dir) [tra Dante e Forese Donati] non rallentava (più lento) il nostro cammino (l’andar), né il cammino rendeva più lenta la nostra conversazione (lui), ma, conversando, camminavamo velocemente (andavam forte), così (sì) come una nave spinta da un buon vento]

Oppure, ancora, si pensi ai falsari della persona, che, nella decima bolgia del cerchio VIII dell’Inferno,  corrono rabbiosamente lungo le 11 miglia di estensione della bolgia:

quant’io vidi in due ombre smorte e nude,
che mordendo correvan di quel modo
che ‘l porco quando del porcil si schiude [If., XXX, vv. 25-7]

[quanto io vidi accadere in due anime pallide e nude, che correvano, mordendo come il porco, quando viene liberato (si schiude) dal porcile].

In molte altre circostanze, sono gli stessi diavoli, a guardia di questo o di quel cerchio, a svolgere quasi la funzione dell’odierno sprinter, poiché, con il gelido battito delle loro ali, si fiondano a gran velocità, con scatti inattesi e fulminei, sul malcapitato. Come si legge nel canto XXII dell’Inferno, ai vv. 114-15:

io non ti verrò dietro di gualoppo,
ma batterò sovra la pece l’ali.

[io non ti inseguirò di corsa (di gualoppo), ma volerò (batterò … l’ali) sopra la pece]
 

Del resto, il canto XXII, quinta bolgia del cerchio VIII, dove scontano la loro pena i barattieri, che vissero di inganni e di raggiri, si apre con un’immagine di rovinosa fuga degli eserciti, in stile parodico, con riferimento a giostre e a tornei:

Io vidi già cavalier muover campo,
e cominciare stormo e far lor mostra,
e talvolta partir per loro scampo;

corridor vidi per la terra vostra,
o Aretini, e vidi gir gualdane,
fedir torneamenti e correr giostra; [1-6]

[Io vidi già, in passato, cavalieri mettersi in marcia (muover campo) [togliere l’accampamento], e cominciare l’assalto (stormo), e schierarsi in parata (mostra), e, talvolta, ritirarsi (partir), per mettersi in salvo (per scampo); vidi soldati a cavallo (corridor), attraversare la vostra terra, o aretini, e vidi fare scorrerie (gir gualdane), combattere (fedir) tornei a squadre (torneamenti) e scontrarsi cavalieri in combattimenti individuali (correr giostra);]

Un romanzo contemporaneo, interamente dedicato a una gara di maratona, «Due per il mondo», che desidero segnalare, è Crampi, di Marco Lodoli, pubblicato da Einaudi nel 1992, e ambientato a Roma.

Il romanzo racconta la vita strampalata e fallimentare di un certo Cesare, che partecipa alla gara in coppia, così come prevede il regolamento della maratona, con una capra, Betta, che, da un certo momento in poi, ha preso a seguirlo, e a convivere con lui:

Cesare incontrò Betta sull’Appia antica, vicino alla tomba di Cecilia Metella. Il giorno che di colpo era rimasto senza famiglia, andò a comprare un paio di scarpette adatte alla corsa, tre canottiere colorate, due pantaloncini, calzettoni, un bagno schiuma, un grande asciugamano di spugna, una sacca […]. Da allora prese ad allenarsi, verso sera [p. 23]

Cesare, per vent’anni, ha distribuito giornali, con il suo furgone, partendo a mezzanotte, nella zona nord di Roma (Sutri, Capranica, Vetralla, …), di paesino in paesino, senza mai incontrare nessuno, scaricando pacchi incellofanati di giornali, davanti alle edicole ancora chiuse, e ritirando quelli delle rese. Per vent’anni. Finché un mattino, di rientro a Roma, ha dato fuoco a uno di questi pacchi di giornali, e l’ha scaraventato nella boscaglia, provocando un grande e devastante incendio. Così. Senza un’apparente ragione. In tutti quegli anni, Cesare aveva guardato da spettatore la sua vita, che andava facendosi, e disfacendosi; aveva guardato il suo primo incontro con Sofia, la ragazza del distributore di benzina, sulla Cassia; aveva guardato il suo matrimonio, con quella ragazza, la nascita del figlio Giorgio. Aveva guardato e aveva lasciato che tutto si sgretolasse, giorno dopo giorno, sotto i suoi occhi di spettatore. Insomma, una «via crucis senza capo né coda» [p. 13], la sua vita.

La pagina iniziale del romanzo ricorda un’immagine dantesca, precisamente, la scena di Caronte, traghettatore di anime, nell’aldilà infernale:

Da lì sopra un grassone con la barba grigia grida perentorio in un megafono: «Venite con i soldi precisi, che non abbiamo il resto. Sono ventimila lire a coppia, più cinquecento lire per l’assicurazione contro gli infortuni […]

– Due per il mondo, – grida l’uomo con la barba grigia e la camicia bianca fradicia di sudore […]. – Mettetevi in fila, che a un quarto alle nove bisogna prepararsi a partire, con i soldi precisi mi raccomando» [p. 3]

Cesare e Betta avevano cominciato ad allenarsi con rigore, tutti i giorni:

All’Acquacetosa Cesare non si è mai allenato sulla pista di tartan: lì partenze, curve, accelerazioni le provano quelli che sono i veri atleti, con il nome della società sulla canottiera e le gambe da fenicottero. Se trovano intrusi nelle corsie li sgridano, avvicinandosi molto con la fronte. Sui bordi della pista, dentro il prato, uomini con il cronometro appeso al collo come un crocefisso incitano o consolano i loro pupilli […].

Sopra le parole volano i giavellotti. Più in là ragazzi dalla mascella sagomata scattano, piantano nella buca l’asta di vetroresina, la flettono, vi si arrampicano come gatti, salgono, salgono tantissimo, e mai una volta che superino l’asticella. Mentre di schiena ricadono dal cielo, allargano le braccia e bestemmiano. [p. 35]

Finché, giunse il giorno della maratona «Due per il mondo», e Cesare e Betta si iscrissero, con un solo pettorale, come da regolamento. Ciascuna coppia era libera di interrompere la gara, al primo traguardo (3 km); al secondo traguardo (10 km); al terzo traguardo (20 km). Oppure, di allungare fino alla fine. Cesare e Betta non si fermarono più: primo, secondo, terzo traguardo, li infilarono tutti.

Per non pensare allo stress, e al dolore fisico, Cesare si distraeva con altri pensieri:

La riga, occorre seguire la riga nera sul fondo della piscina, pensare solo a quello. Questo era il consiglio che dava ai maratoneti un nuotatore celebre e calvo intervistato dalla rivista «Un passo in avanti». Ma non sempre sulle strade c’è questa riga, obiettava l’intervistatore: perché una cosa è la piscina d’acqua trasparente, un’altra cosa è la strada. La riga, ripeteva il nuotatore, bisogna comunque pensare alla riga perenne che corre sotto. Il resto è distrazione, imballa la testa e i muscoli, appesantisce: il resto fa crescere i crampi [p. 52].

Cesare si era pure abbonato alla rivista «Un passo in avanti», e la leggeva con diligenza, trovandovi molti consigli utili:

Ci sono severe recensioni delle scarpe, mirate a verificare se l’areazione interna è di buon livello, quanti strati ha la tomaia, come reagisce sui terreni compatti e sul bagnato, di che tipo sono le stringhe. Ci sono consigli alimentari, tabelle d’allenamento, riflessioni profonde sulla vita sessuale dell’atleta e sulla vita in generale, belle fotografie degli altipiani etiopi e messicani, dove si possono frequentare corsi estivi [p. 53]

A vederli correre, quella notte, a Roma, Cesare e Betta sembravano due «di coloro / che corrono a Verona». Due di quelli che vincono, «non colui che perde». Ovviamente.

 

 

 

 

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