“SICCITÀ”, REGIA DI PAOLO VIRZÌ, ITALIA, 2022

di Francesco Monteleone

Nella nostra bassa quota di critici per diletto i film li dividiamo così: film che si vedono una volta, quelli che dopo le 4 stagioni si rivedono volentieri in compagnia, altri che, passato qualche anno, diventano sacre reliquie di registi famosi e, all’ultimo grado di giudizio, in film di sana e robusta costituzione che incateniamo alla breve eternità della nostra vita. Ma in basso scorre con più forza quella immensa fiumana di film che dopo averli visti non volevi averli visti. E qui ci mettiamo, senza scusarci, l’ultimo di Virzì, del quale l’unica cosa che rimarrà indimenticabile sarà il titolo, perché il cervello ama le immagini forti e le conserva più a lungo nella memoria.

Genere ‘drammatico’? 2 ore di sbadigli per un film di fantascemenza che non produce nessuna emozione positiva o negativa, che non insegna niente, che non educa, né diverte. Una storia di storielle familiari, che s’incrociano senza che nessuna abbia un pizzico di originalità, all’interno di un ambiente urbano diventato impervio, perché seccato irrimediabilmente.

A Roma non piove da 3 anni, il Tevere è prosciugato, ricchi e poveri in preda alla fame di acqua mescolano coscienze e corpi degradati dalla sporcizia, sperimentando, senza esserne totalmente consapevoli, le conseguenze della crescente catastrofe ambientale.
I personaggi previsti dalla sceneggiatura sono tutti poco intelligenti, come se la disidratazione gli avesse seccato il cervello: un detenuto originariamente crudele che, dopo vent’anni di galera è diventato abbondantemente ingenuo (per non dire stupido); famiglie seppellite nelle zozze tombe casalinghe con tutti i familiari alle prese con tradimenti sentimentali; giornalisti televisivi incompiuti, truccati ed eterodiretti, che sembrano cagnolini da passeggio; un influencer penoso e finto che per età, linguaggio e stile potrebbe al massimo recitare nelle commedie di Jerry Calà; i benestanti di soldi, che appaiono come realmente sono, cioè furbi, classisti, mummificati dalla loro ignoranza…ma potremmo continuare ancora.

E tutta questa metamorfosi sociale descritta con poco spettacolo, pochi colpi di scena, pochi dialoghi, poca consapevolezza della crisi ambientale e soprattutto con una recitazione mediocre di tutti gli attori più importanti: Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Claudia Pandolfi. Virzì ha ottenuto il risultato straordinario, facendo recitare malissimo Monica Bellucci, Diego Ribon, Max Tortora, Gianni di Gregorio, che è vecchio e fà il vecchio. Infine, Vinicio Marchioni, Gabriel Montesi, Emanuela Fanelli allo stesso livello di modelli presi dalla cassetta degli attrezzi di un mediocre sociologo. Di buon livello solamente il direttore della fotografia e una decina di inquadrature.

Lasciamo la sala con un paio di dubbi: se l’acqua non arriva più a Roma e il Tevere è un canale terroso non è perché non piove più da 3 anni sulla città, ma dove nascono e vengono alimentate le sorgenti? E le blatte che corrono in lungo e in largo per tutta la pellicola en plein air di che specie sono? È forse una licenza cinematografica? Chi ha vissuto gli anni nei quali c’era penuria di acqua nelle case meridionali ricorda bene che gli scarafaggi si moltiplicavano in luoghi umidi e poco illuminati, preferibilmente in dispense con il cibo non custodito in contenitori sigillati.

Boh! Speriamo di aver sbagliato analisi. E diamo un abbraccio affettuoso a Paolo Virzì, che rimane un artista di indiscutibile valore.

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