di Valentina Palermo
Otranto, Puglia. Siamo in uno dei cuori pulsanti del Salento. Siamo in una graziosa cittadina che in estate viene presa d’assalto da orde di turisti provenienti da tutto il mondo. Qui ogni anno migliaia di vacanzieri si riversano sulle spiagge dal mare cristallino, fra i graziosi vicoletti ricchi di negozi e nei locali dove è possibile intrattenersi fino a tarda ora.
Otranto, però, non è soltanto il paese del divertimento estivo. Questo è anche (o meglio, soprattutto) un luogo pieno di storia, che ha visto nel corso dei secoli il passaggio di popoli e culture differenti. Greci, romani, bizantini e saraceni si sono alternati nel comune più a est d’Italia, lasciando la loro inconfondibile traccia. A volte il passaggio di questi popoli ha contribuito a migliorare l’aspetto o l’economia della città. Altre volte la loro occupazione è stata portatrice di eventi terribili. È questo il caso dei turchi, autori di un tremendo massacro avvenuto nel 1480. Per ricordare quell’evento, nel XVII secolo fu eretta la chiesa di Santa Maria dei Martiri.
Ma andiamo con ordine e scopriamo prima ciò che avvenne in quel drammatico giorno di oltre cinquecento anni fa.
Il 28 luglio del 1480, la flotta turca guidata dal comandante Gedik Ahmet Pascià giunse nel porto di Otranto con l’intento di conquistare il paese. A nulla valsero gli sforzi dei cittadini, che tentarono di difendere il proprio territorio. Gli uomini di Gedik erano troppi, così il giorno successivo gli otrantini abbandonarono il borgo, asserragliandosi all’interno della cittadella del castello. Dopo due settimane di bombardamenti, i turchi riuscirono a prendere anche la fortezza spargendo il sangue di chiunque trovassero sul loro cammino. Il 14 agosto l’apice della violenza. Gedik Ahmet Pascià catturò ottocento uomini di età superiore a quindici anni e li trascinò sul colle della Minerva. Il condottiero propose loro di convertirsi all’islamismo per avere salva la vita, ma nessuno accettò di abbandonare la fede cristiana. A quel punto iniziò il massacro. Uno dopo l’altro gli uomini di Otranto vennero barbaramente uccisi per decapitazione sotto gli occhi impotenti delle loro famiglie. Il primo a morire si chiamava Antonio Primaldo e, secondo la leggenda, pare che il suo corpo senza testa rimase in piedi fino all’ultima esecuzione. Le cronache del tempo ci raccontano anche che Berlabei, uno dei boia turchi, impressionato dal coraggio e dall’attaccamento alla fede degli otrantini, decise di abbracciare il cristianesimo. Anche lui finì per perdere la vita e il suo corpo fu impalato come monito per gli altri soldati.
Ora veniamo a oggi. In memoria di quei coraggiosi otrantini che cercarono di resistere all’assedio turco e protessero il loro culto fino alla morte, nel 1614 fu costruita la chiesa di Santa Maria dei Martiri. L’edificio si trova sul colle su cui avvenne la carneficina e fa parte di un santuario. Per accedervi è necessario salire su una scalinata in pietra fiancheggiata da alberi alla cui fine si può vedere ancora la colonna su cui fu impalato il convertito Berlabei. Sulla destra vi è, invece, una cappella che un tempo ospitava la pietra che era servita per le decapitazioni. E poi c’è la chiesa vera e propria. La facciata ha un aspetto molto semplice e pulito, ma è al suo interno che il visitatore può deliziarsi con diversi elementi dall’importante valore artistico. Uno splendido pavimento a mosaico, decorazioni nel pieno stile del barocco leccese e dipinti imponenti, adornano l’edificio. Fra i quadri c’è da segnalare l’opera cinquecentesca di Lavinio Zoppo, che si trova alle spalle dell’altare Maggiore. Il dipinto rappresenta con colori vivi la Strage di Otranto, in ricordo perpetuo di ciò che la furia conquistatrice è capace di provocare. E sempre in ricordo degli uomini uccisi, diverse targhe ricordano i nomi di alcuni di loro.
Quella che vi abbiamo raccontato è senza dubbio una vicenda forte, un evento drammatico che ha segnato pesantemente quello che oggi è uno dei cosiddetti centri della movida estiva; ma questo può anche essere uno spunto per approfondire, andare oltre, perché in ogni luogo può essere nascosto un piccolo e prezioso pezzo di storia tutto da scoprire.