di Carmela Moretti
Ancora oggi non trova spazio nella stragrande maggioranza dei libri di storia, perché per decenni è stato un episodio nascosto sotto la coltre dell’indifferenza, dell’oblio, difficile da ricostruire e, quindi, necessariamente poco conosciuto. Eppure si tratta della prima strage di ebrei avvenuta in Italia, la seconda per numero di vittime dopo quella delle Fosse Ardeatine: 57 ebrei, uccisi dalla follia nazista in nove località sulla sponde del Lago Maggiore, da Novara a Verbania, passando per Arona, Meina, Stresa, Orta, Mergozzo e Pian Nava. Una zona meravigliosa, tra le più affascinanti d’Italia, con i monti che si riflettono nello specchio lacustre, sporcata dal sangue di uomini, donne e bambini, vittime innocenti dell’Olocausto.
Siamo agli inizi del settembre 1943. L’armistizio proclamato da Badoglio l’8 settembre crea una situazione paradossale nella penisola italiana: se il meridione viene progressivamente liberato dagli alleati e nel centro-Italia si è venuta a creare la Repubblica di Salò alleata della Germania nazista, la zona delle Prealpi è direttamente amministrata dal Reich e del tutto alla mercé delle SS. Per gli ebrei diventa decisivo trovarsi nella parte giusta o sbagliata dell’Italia: quelli all’estremo nord vengono esposti ad arresti, uccisioni e deportazioni fino alla Liberazione. Qualcuno riuscirà a rifugiarsi in Svizzera, almeno fino a quando le istituzioni elvetiche non decidono la chiusura delle frontiere.
Il rastrellamento sul Lago Maggiore inizia a Baveno tra il 13 e il 14 settembre, a opera del 1° Battaglione della Divisione corazzata Leibstandarte «Adolf Hitler»: sono un gruppo di giovani violenti, intemperanti, che rispondono direttamente e soltanto al Fuhrer.
Prosegue con quello che è l’episodio più noto dell’intera vicenda: l’uccisione dei 12 ebrei ospiti dell’Hotel Meina. Sono le 9 di mattina del 15 settembre, le SS fanno irruzione nel noto albergo della cittadina di Meina e ammassano in un’unica stanza all’ultimo piano tutti gli ebrei presenti nella struttura. Verranno poi uccisi nelle notti del 22 e del 23 settembre e i loro corpi gettati nelle acque del lago, a qualche centinaio di metri di distanza del paese.
Sempre il 15 settembre 1943, al pomeriggio, due camionette delle SS arrivano nella piazza di Orta e prelevano dalla loro casa Mario e Roberto Levi, rispettivamente zio e cugino di Primo Levi. Spariscono nel nulla, i loro corpi non sono mai stati trovati.
E così via, fino al 10 ottobre dello stesso anno.
Per le viuzze dei paesi, le voci corrono. I cittadini delle varie località sospettano, mormorano, si lasciano andare a timide considerazioni. “Non si sa più niente dei fratellini Diaz, che fine avranno fatto?”, “Ieri sera dicono di aver visto trasportare dei corpi in grandi sacchi, pensi siano solo dicerie?”, “Mi è sembrato di sentire colpi di armi da fuoco nel cuore della notte, devo essermi sbagliato…”. Stresiani, bavenesi, meinesi tremano solo all’idea che qualcosa di tremendo e indicibile si stia consumando dietro i cancelli delle ville e degli alberghi più lussuosi, poco lontano dai loro occhi.
A dissolvere ogni dubbio sarà proprio il Lago Maggiore, testimone parlante di queste atrocità. Nonostante i tentativi da parte delle SS di compiere queste stragi – anomale per le modalità – nella più totale segretezza e di far sparire nel nulla e di notte gli ebrei, i corpi di alcuni di loro vengono restituiti nei giorni successivi dalle acque del lago.
E così ogni sospetto diventa certezza e tutti sanno quello che oggi non possiamo più ignorare: il terribile