di Dino Cassone
Se volete regalarvi un momento di riflessione pura e per una volta, restare con i piedi per terra, allora vi consigliamo “Roma. 2000 anni di corruzione. Dall’Impero romano a Mafia Capitale”, pubblicato da Baldini+Castoldi e scritto da Federica Angeli. La cronista di Repubblica (che da qualche mese ha ricevuto un importante incarico dalla Giunta Capitolina), con questo libro ha momentaneamente abbandonato la penna della cronista e impugnato quella della saggista, mantenendo comunque invariata la sua dote di eccellente comunicatrice. Il libro, preso in prestito dalla tesi rimaneggiata della sua seconda laurea, in Giurisprudenza, è ricco di aneddoti, di accurati riferimenti storici e di approfondite e verificabili fonti giornalistiche. E se avesse avuto un’epigrafe, sarebbe stata: “A Roma, se vuoi lavorare, funziona così, non da ieri, da sempre, dai tempi di Giulio Cesare”. Autore di questa curiosa iperbole è Salvatore Buzzi, sì proprio lui, uno dei due protagonisti di Mafia Capitale.
La Angeli ci accompagna in un viaggio attraverso la storia della corruzione, che è un dato di fatto che sia nata con l’uomo, passando ai raggi x l’immenso e leggendario Impero romano. E allora ecco che leggeremo del criterio Do Ut Des, della classica raccomandazione, della corruzione dei giudici e dell’egemonia dei potentes, del rito della salutatio che tanto ricorda quello dei padrini mafiosi della nostra epoca, della compravendita di voti, del primissimo caso di “franco tiratore” con le gesta di Lucio Emilio Paolo, dei litigi tra custodes, che sembrano quelli dei moderni rappresentanti di lista e del prefetto Simmaco e lo scandalo del ponte, molto simile alla triste vicenda di Genova.
Protagonista della seconda parte del saggio è lo scandalo del Mondo di Mezzo, che molti cronisti hanno poi battezzato Mafia Capitale. E nelle pagine a esso dedicate viene fuori l’anima della cronista (ricordiamo che la Angeli ha seguito per la sua testata l’intera faccenda), con sorprendenti punti in comune tra la corruzione anno 2000 e quella dell’antica Roma. Come a dire che non è stato inventato nulla, il modus operandi dei corruttori è radicato nel tessuto sociale capitolino, le colpe e le virtù sono sempre le stesse. La mafia si insinua lì dove lo Stato soffre, rappresentandone l’insana cura. Grande spazio infine viene dato nella postfazione a interi stralci della sentenza del processo, giunto in Cassazione, con la precisa volontà dell’autrice di rendere consapevole il lettore di come la Legge non abbia riconosciuto l’associazione di stampo mafioso.
Lasciando a noi cittadini un monito che ci deve far riflettere: c’è un nuovo modo di intendere la mafia. Alle istituzioni e a tutti noi spetta individuare le maglie di quest’organizzazione, denunciarla per poi sconfiggerla. Si può fare.