RIFLESSIONI SULL’AMERICA

di Giulio Loiacono

La vita è una continua e stimolante violazione di promesse.
Ma la violazione è accompagnata dal rovello, dal tarlo che impone a se stessi di tutto: dalla tortura della coscienza alla riprovazione sociale, seppur essa sia limitata alla ristretta cerchia degli amici o dei semplici conoscenti.
Ebbene, pur ripromettendomi di non voler parlare di quanto sta accadendo, di quanto è accaduto e, soprattutto, con timore, potrà o potrebbe accadere negli Stati Uniti, mi sono piovute, da tanti amici e familiari italiani, stimolati da quelle visioni “cornute e variopinte”, richieste di parere e di opinioni, quasi fossi un giornalista inviato, di loro inviato nel “regno della barbarie”.
Il tutto, devo dirlo, condito da quella spocchia italica, che, quando guarda agli USA, punta il dito ridacchiando contro il Vichingo o i Village People di turno, più o meno accompagnati da bandane in stile mandriano o, più semplicemente, dalla loro stupidità yankee.
Come sempre, e molto di più della succitata voglia di non resistere alle tentazioni, mi animò allo scrivere quell’insensato desiderio di smentire quella idea, che vuole l’italiano ondeggiare tra la critica e la smargiassa e ridanciana idea che lo statunitense sia una specie di bestia rara, gretta ed involuta “perché gli anglosassoni sono così”.
La mia risposta non è affidata a me, almeno per intero, ma ad una rimasticazione delle idee di Dario Fabbri, collaboratore e specialista per le Americhe della Rivista di Geopolitica Limes, diretta da Lucio Caracciolo, che poco più di un anno fa, ho avuto il piacere di conoscere nel corso di una conferenza tenuta presso la Dante Alighieri di Cambridge, Massachusetts.
Ebbene, Dario, che ho conosciuto e che, in quella occasione, mi ha concesso il privilegio di dargli del tu, sostiene che negli Stati Uniti vi è in atto una lotta tra un complesso, una sorta di moloch sociale ed “etnico”, di matrice germanica, cioè molto sassone e poco, molto poco anglo, incredibilmente omogeneo, che si è auto confinato nel Sud Ovest e nel Midwest. Esso è bianco, antisemita, evangelico spinto, bellicoso, armato fino ai denti, razzista ed intollerante, molto numeroso e molto più giovane di quanto si immagini e che non può che stare col Presidente uscente ed una massa eterogenea, multirazziale, multiculturale, costiera – l’aspetto geografico di stare sulle coste significa “aprirsi” per definizione all’altro, al diverso, non necessariamente al migliore – e come tale piuttosto slabbrato, animato da principi egualitari o legalisti, ma, in genere, come tutti i veri complessi annacquati, poco identitari e molto poco determinati alla lotta senza quartiere.
La prima America, che ha accettato la politica come “atto di fede”, vede nella seconda la vera minaccia. Vede nella massa “degli altri” semplicemente la non vera America, la America non identitaria, quella nella quale ci si guarda attorno e non si vede, non si può vedere una massa di bianchi, biondi e con in testa o le corna o gli ormai famosi cappellini da baseball rossi con su scritto “Make America Great Again”. Per questi gli altri, quelli chiusi nelle legittime istituzioni parlamentari, sono l’”establishmenti”, ossia il sistema, i vecchi, i lenti, i colorati, i meticci, non solo di razza ma anche di cultura. Questi sono una massa di checche, di ammittisti, di abortisti, di transgenders, di neri, di ispanici o, a loro dire, di chissà che cosa. Questi individui eterogenei, se li si guarda in un comizio per Biden, non sono riconoscibili, non sono uguali. Soprattutto, non sono uguali a loro.
Il problema, per loro, è che questi “Germani” non sono la vera America, la Vecchia America, se si dà a questa definizione la idea di una Nazione fondata dagli Angli, ossia da quei britannici, magari un po’ respinti, perseguitati anche loro nella Vecchia Inghilterra, per motivi religiosi e non solo, un po’ intellettuali spenti, un po’ massoni, un po’ vecchi predicatori puritani, che, riunendosi attorno a principi unificanti, magari pochi ma non tanto male, hanno definito il contenuto di quella che era una nuova idea, che è divenuto Stato, istituzione, costituzione, regime liberal-democratico.
Questa idea, magari bianca, ma anglica, col tempo, si è maggiormente attagliata sulle fattezze degli eterogenei, dei diversi, dei colorati, dei vari perché è più utile e più flessibile. Cioè adattabile ai tempi.
Chi è rimasto fuori da tutto ciò, invece? I germanici, ceppo dominante e ricco, abbiente e potente. Almeno fino ad ora. Intendiamoci: lo sono ancora. Ma c’è anche altro.
Questa massa di testoline bionde, di “cornuti barbari discesi dal Nord”, per dirla quasi alla Barbero, si scoprono non solo numericamente minacciati, ma culturalmente, tecnologicamente, istituzionalmente decisamente emarginati.
E reagiscono. Come sanno loro. Con la violenza e la rivolta per ribaltare, nelle loro teste, una inequivocabile loro sconfitta, che è ormai sconfitta sociale.

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