PUR NUOVA LEGGE

di Trifone Gargano

La necessaria (e frenetica) emanazione, tra la fine di febbraio e oggi, dei così detti DPCM (Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri), sotto l’incalzante e drammatico avanzare del contagio per coronavirus,

dapprima, nelle sole “regioni rosse”, e, poi, via via, in tutto il territorio nazionale, nel momento in cui, tra le tante disposizioni e i cogenti divieti, stoppava finanche i funerali, la vicenda mi riportava alla memoria questi versi di Ugo Foscolo:

Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende […] (Dei Sepolcri, vv. 51-3).

La «nuova legge» cui, molto probabilmente, faceva riferimento Foscolo, in questi suoi versi, doveva trattarsi dell’Editto di Saint Cloud, del 1804, esteso anche per l’Italia nel 1806. Il carme infatti fu scritto nell’estate del 1806, e fu pubblicato, in prima edizione, nel 1807.

L’editto francese (firmato da Napoleone Bonaparte il 12 giugno 1804, presso il castello di Saint-Cloud, a una decina di km da Parigi, residenza preferita dall’imperatore, oggi distrutta, con il titolo «Décret impérial sur les sépoltures») ruotava intorno a due finalità:

1. igienico-sanitaria (evitare di continuare a stipare i cadaveri nelle chiese, con conseguente rischio di diffusione di malattie)

2. ideologico-politico (tombe uguali tra loro, nel rispetto del principio rivoluzionario di uguaglianza)

In ogni caso, già prima della estensione all’Italia dell’Editto francese, avvenuta il 5 settembre del 1806, Foscolo, in quell’estate, era impegnato a scrivere un’opera d’ispirazione sepolcrale, stimolato, soprattutto, dalle conversazioni avute con l’amico e poeta Ippolito Pindemonte (che stava preparando, a sua volta, un poema sui Cimiteri). Temi, questi, molto cari a Foscolo. Se solo rileggessimo parte della sua precedente produzione lirica (nei Sonetti, ma anche nel romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis, egli aveva affrontato la questione delle sepolture), ne avremmo conferma.

Con il lungo carme Dei Sepolcri, Foscolo meditava (in pubblico) sul problema della utilità della tomba, e del suo valore civile. Al centro del carme, c’era il tema dell’eroismo, e la tomba («L’urne de’ forti», v. 152) come strumento per conservarne il ricordo. Di qui, la celebrazione di Firenze, e del suo cimitero monumentale in Santa Croce, dove erano custodite le ceneri di Machiavelli, Galilei, Alfieri (e dove, oggi, sono conservate anche quelle di Foscolo).

Il poeta (oramai) maturo, che scrive i Sepolcri, elabora e perfeziona un’idea di nazione come somma di storia. Questa idea giungeva a Foscolo da Vico, per il tramite del fuoriuscito napoletano Vincenzo Cuoco, sistematosi a Milano come funzionario della Repubblica Cisalpina. Vico, infatti, nella Scienza nuova, attribuiva importanza strategica proprio al sorgere delle istituzioni. Questo convincimento vichiano, veniva, dunque, rilanciato nei Sepolcri, quasi con le stesse parole del filosofo, e con uno stile oratorio solenne:

Dier alle umane belve esser pietose
Di sé stesse e d’altrui, toglieano i vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura                                   95

Con veci eterne a’ sensi altri destina

Foscolo attribuiva alla nascita di queste istituzioni («nozze, tribunali e are») l’origine stessa dei sepolcri (con la conseguente uscita dell’umanità dalla lunga pre-istoria ferina). L’uomo, grazie alle tombe, sottraeva i corpi dei morti alla distruzione, e ne perpetuava il ricordo, la memoria (attiva).

Il carme foscoliano, quindi, passava a celebrare la poesia come strumento capace di custodire e di tramandare i valori umani:

Il tempo con sue fredde ale vi spazza                        231
Fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
Di lor canto i deserti, e l’armonia
Vince di mille secoli il silenzio.

In tal modo, egli conferiva alla letteratura una (specifica) missione civile. Foscolo, comunque, aveva sempre inteso la poesia come strumento dell’impegno civile e morale, all’interno della società. Non a caso, sin da giovanissimo, i suoi miti di riferimento erano sempre stati autori come Dante e Alfieri (e Parini). La poesia capace di vincere «di mille secoli il silenzio». Concetto che Foscolo avrebbe ripreso e ampliato, nella sua meditazione intellettuale, qualche anno dopo, nel 1809, allorquando si sarebbe accinto a tenere l’orazione inaugurale, a Pavia, per l’insegnamento di Eloquenza che aveva ottenuto in quella Università, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura. In essa, Foscolo rivolgeva, ancora una volta, un’accorata esortazione agli italiani a coltivare la storia:

O Italiani, io vi esorto alle storie

Convinto, come già aveva scritto nel carme, che soltanto la storia assicurasse eternità al presente. Il pietoso rito della sepoltura, dunque, rendeva pietose le «umane belve»:

Dier alle umane belve esser pietose
Di sé stesse e d’altrui, toglieano i vivi
All’etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura                                   95

Con veci eterne a’ sensi altri destina

Nella certezza che le tombe svolgessero un’altissima funzione etico-civile:

Ed are a’ figli; e uscìan quindi i responsi
De’ domestici Lari, e fu temuto
Su la polve degli avi il giuramento:                           100
Religïon che con diversi riti
Le virtù patrie e la pietà congiunta
Tradussero per lungo ordine d’anni

Le tombe come altari, presso i quali, cioè, al di là dello specifico rito religioso, si ritenevano sacre le parole pronunciate, a mo’ di giuramento o di promessa; coniugando le glorie nazionali, pubbliche (le «virtù patrie»), con i sentimenti privati, familiari (la «pietà congiunta»).

In un estratto del carme, Foscolo stesso chiariva che:

I monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene: solo i malvagi […] non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de’ tristi e dei buoni, degl’illustri e degl’infami. Istituzione delle sepolture nata col patto sociale […].

Ebbene, oggi, il divieto imposto nei confronti del pietoso (e sacro) rito della sepoltura, dettato, come sappiamo e come comprendiamo, dal pericolo di diffusione del contagio, non deve far dimenticare, all’intera comunità nazionale, il sacrificio sia degli innocenti, sia, soprattutto, dei «forti», per dirla con il lessico foscoliano, cioè di tutti quegli eroi in camice bianco, che, da medico e/o da infermiere, hanno sacrificato la loro vita, per assistere e per curare gli ammalati.

Che quei nomi, quel lungo (e triste) elenco di nomi, di volti, di storie e di vite recise, trovino posto, con rito solenne, presso il Cimitero Monumentale di Santa Croce, in Firenze, come primo impegno etico e civile della Nazione, una volta finita questa emergenza.

Per chi volesse leggere per intero il carme Dei Sepolcri, potrebbe fare clic sul link:

https://it.wikisource.org/wiki/Dei_Sepolcri

 

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