PINOCCHIO, regia di Matteo Garrone, Italia, 2019

di Carmela Moretti

È un’opera geniale, complessa e sempre attuale quella di Collodi, che nella fiaba del burattino più famoso al mondo seppe concentrare più livelli di significato. Una storia densa di riferimenti, prestatasi nel tempo a vari rifacimenti teatrali e cinematografici più o meno riusciti.

 Ed ecco che è arrivato nelle sale l’attesissimo “Pinocchio” di Matteo Garrone, per donare in questo periodo natalizio magia a grandi e piccini.

Il film è molto fedele al testo letterario, il quale rientra a pieno titolo nel genere del romanzo di formazione. Con un pezzo di legno donato da mastro Ciliegia, il povero Geppetto costruisce un burattino, con cui girare il mondo e avere di che vivere. Si tratta, però, di un burattino speciale, perché sa camminare e parlare. Dunque, diventa suo figlio e Geppetto vuole farne un bravo bambino, ma Pinocchio è solo un pezzo di legno, in preda a istinti e pulsioni: dovrà affrontare una serie di prove – Mangiafuoco, il gatto e la volpe, Lucignolo e il paese dei balocchi – prima di diventare un bambino in carne e ossa. Quello di Pinocchio è un percorso di formazione che ciascun essere umano deve compiere: solo conoscendo pienamente se stessi e facendo un viaggio dentro la propria interiorità, unitamente ad una approfondita conoscenza delle insidie del mondo esterno, ci si può liberare degli istinti naturali fino ad esprimere il vero sé.

Il “Pinocchio” di Garrone è un’operazione lodevole, anche se talvolta la regia è costretta dai tempi cinematografici a essere sbrigativa in alcuni passaggi. Colpisce per la devozione al testo originario, per la fotografia delicata e poetica, per la bellezza dell’ambientazione – spicca, come fosse un coprotagonista, la campagna pugliese con tutto lo splendore degli ulivi, della sua luce e dei colori dei tramonti. Particolarmente efficaci risultano le interpretazioni del giovanissimo Federico Ielapi, che sul set ogni giorno ha dovuto sottoporsi a quattro ore di trucco; di Gigi Proietti nei panni di un magnanimo Mangiafuoco; del duo il Gatto e la Volpe, portati in scena dai comici Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini; su tutti eccelle Roberto Benigni, che ci restituisce al cinema un commovente Geppetto, che purtuttavia non riesce a eguagliare il modello – ormai possiamo dire insuperabile – di Nino Manfredi.

Funziona, dunque, la trasposizione cinematografica di Garrone. Eppure siamo certi che nel cuore e nella mente si affacceranno sempre le scene e le musiche della serie televisiva di Luigi Comencini, che ha potuto approfondire la complessità dell’opera in cinque puntate. Per i nostalgici della fiaba di Collodi, il vero “Pinocchio” resterà sempre il biondo Andrea Balestri, circondato da un cast irripetibile: il già citato Manfredi, Gina Lollobrigida, Vittorio De Sica, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, cioè il meglio dello storia cinematografica italiana.

 

Una risposta a “PINOCCHIO, regia di Matteo Garrone, Italia, 2019”

  1. Concordo su tutto,pur amando molto garrone fin dal suo film l’imbalsamatore(da vedere se l’avete perso) questo Pinocchio sulla falsa riga del racconto dei racconti dello stesso regista, non convince pienamente, pur nella bellezza scenografica, nella ricostruzione immaginifica, nella bravura di alcuni attori, ma non tutti, nella fotografia. Non decolla completamente e lo spettatore in trepida attesa rimane fermo, immobile rimembrando la bellezza del Pinocchio di comencini memoria o le pagine ormai ingiallite di un libro letto e straletto da tutto il mondo.

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