PERCHÉ SIAMO COSÌ ANTIAMERICANI (Parte 1)

di Giulio Loiacono

Da anni – e non solo da quest’ultimo del conflitto interslavo – osservo da lontano un po’ tutto il Vecchio Continente ed in particolare il nostro “sfortunato” stivale.

Partii, quasi un decennio fa, con un’intima convinzione: che gli italiani sono il popolo più antiamericano sicuramente dell’Occidente ed uno dei più fieri e ferini avversari degli statunitensi in tutto il globo. È chiaro che quello che sto per scrivere è influenzato dal fatto che in USA ci vivo e, come ogni expat, si vive nella condizione di un diviso in due perenne, condizione che genera ovvie contraddizioni. Di ciò si soffre in quanto, nell’americano medio, c’è molta simpatia verso l’Italia – come non averne! -, come sempre un po’ stracciona e superficiale, se non decisamente ignorante, ma ciò credo che corrisponda a grande parte della Terra.

Ma in Italia c’è qualcosa in più: da un lato si prende ciò che si vuole, ossia il soft power che gli americani certamente desiderano per asservire il mondo a sé, ossia quello che una specie di gastronomo canuto, molto popolare negli anni 90, ex dipendente ENI in pensione, poi transitato nelle TV di Stato, definiva come: “la passione degli italiani per i berretti alla rovescia, i calzoni larghi e pencolanti disordinatamente giù per la vita e le gazzose colorate”. A questa propaganda di uso e consumo immediato gli USA non rinunceranno mai perché gli conviene. È una delle Wunderwaffen più efficaci di cui dispongono. Asservire con la scemenza, tuttavia costruita con metodo e con enormi canali e mezzi di diffusione; ma, attenzione, ciò lascia spazio alle declinazioni nazionali.

Meglio fare il rapper smozzicando il napoletano così da essere bene accetto a Scampia piuttosto che a Ponticelli, che ospitare F-16 carichi di testate nucleari ed essere trattati come sudditi.

Beh, come si sa, nella storia italiana post Seconda Guerra Mondiale c’è l’uno e l’altro.

Ma c’è di più. C’è la convinzione degli italiani di essere il centro di una sfera di influenza inesistente, che riflette la idea di non avere contro nessuno assieme ad un fastidio “da arco costituzionale” di avere quello che sta Oltreoceano sempre addosso come un padrone di casa pronto a bussarti per l’affitto.

Ma perché noi, eredi di Augusto, ponte tra Oriente ed Occidente, sede del Papato, creatori del Mediterraneo come idea di Mare solo Nostrum dovremmo accettare che uno lontano, tra l’altro ignorante ed arrogante, buzzurro, scostumato e vociante attraversi l’Oceano per installarsi qui, da noi?

E questo è l’emisfero destro. Quello sinistro, ideologizzato all’ennesima potenza, vede, ad esempio, nella Russia, l’Europa mancata, il vicino grosso da accogliere in nome di una fratellanza universale che, fattasi Stato, cadde miseramente con i suoi sogni di grandezza globale.

C’è poi una fascia, minuta, della popolazione che riconosce alla Russia di Leone Tolstoj, grande pedagogo ed uno dei più grandi filosofi spenceriani del mondo, a Dostojevskij, uno dei più efficaci esploratori ed indagatori dell’animo umano che mai sia esistito; ebbene in nome di questo si riconosce alla Russia un ruolo di supremazia e quasi egemonia culturale rispetto allo scassato mondo Oltreoceano. Questi signori dimenticano un aspetto fondamentale dello slavismo orientale russo: la ferocia. Se avessero letto un ucraino, ma ciò non rileva, come Gogol e le sue Anime Morte, scoprirebbero un russo dedito, con una meticolosa precisione, ad enumerare cadaveri per ricavarne profitto, senza una benché minima esitazione. Certo, il funzionario zarista che fa questo officio viaggiando per l’Impero domande se ne fa ma procede al calcolo con feroce rassegnazione.

Ecco, la cifra del mondo russo che, nemmeno ai nostri italiani risulta comprensibile; il russo fa tutto con feroce rassegnazione. Nulla, in fin dei conti, cambia o è destinato a cambiare. Se violenza ha da essere, violenza sia. Perché è stato detto – e questo è molto russo – che, se si perde, la Madre Russia scompare. Allora meglio combattere. Ed anche massacrando, se si può. Questo, però, dello spirito russo, poco filtra nella penisola.

La Russia è ancora il cane da guardia dell’Europa ad est, è Tchaikovskij che lotta contro l’ignoto del buio delle steppe.

Purtroppo non è così. Non è solo così, come sempre.

Quella Russia che cogita e parla francese, ed oggi anche inglese, è una Russia minoritaria, che ha perso sempre. Una volta si raccoglieva attorno allo Zar, ora si distanzia dal piccolo padre attuale. Ci sono russi europei, non c’è una Russia europea.

Proprio come ci sono italiani occidentali, non c’è un’Italia occidentale. Utilizzando la Russia quale ennesimo grimaldello antiamericano, qui , per ora, mi fermo per proseguire in seguito.

foto tratta dal web

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