di Letizia Scandamarre
Riflessioni sui convegni pasoliniani baresi del 22-23 novembre 2022
A cento anni dalla sua nascita tanto la vita dell’uomo quanto la produzione del poeta, regista, saggista e romanziere Pasolini ci permette di riflettere sulla società turbocapitalista che caratterizza in maniera onnipervasiva le nostre vite.
Pier Paolo Pasolini con la sua peculiare contraddittorietà e il suo impegno profuso nel performare il suo pensiero attraverso mezzi nuovi e tradizionali ci fornisce sempre nuovi interrogativi per riflettere in maniera critica circa la nostra identità.
Le varie iniziative organizzate per commemorare il centenario della nascita del poeta, tra le quali si annovera il ciclo di seminari a cura del comitato scientifico costituito dai docenti dell’Università di Bari Aldo Moro Giona Tuccini e Daniele Maria Pegorari e dal critico cinematografico e responsabile del Centro Studi-Archivio Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna Roberto Chiesi e organizzato dall’Università Aldo Moro di Bari, ci offrono l’occasione per creare un dialogo profondo e rinnovato con i testi del poeta e del prosatore, il cinema del regista e gli articoli del saggista P.P. Pasolini. Il ciclo di seminari svoltosi a Bari sia presso l’aula magna “Aldo Cossu” di Palazzo Ateneo che presso il Museo Civico di Bari, tenutosi nei giorni 22-23 Novembre intitolato “Pasolini alla prova del logos”, ha avuto come obiettivo quello di indagare, attraverso gli studi e le testimonianze di voci autorevoli, tre aspetti essenziali per comprendere l’opera pasoliniana tutta: la tradizione, la trasposizione e la traduzione che hanno eretto nel tempo il poeta a icona, e infatti, proprio su questo ultimo fenomeno di mitizzazione del poeta si sono focalizzati gli incontri che si sono tenuti presso il Museo Civico, dove il 18 novembre era stata già inaugurata una mostra iconografica tutta in onore del poeta curata da Claudio Vino intitolata “Occhi: il fiume sotterraneo del dolore”.
A caratterizzare l’intero corpus pasoliniano è la complementarità dei mezzi di espressione adoperati dall’autore che trova nella sua volontà innovatrice la forza per ripristinare il rapporto con il passato e la tradizione, indispensabile per Pasolini al fine di alimentare un colloquio incessante con la propria coscienza.
L’azione rifrangente della realtà attraverso il logos trova una prima realizzazione nella produzione poetica pasoliniana. La poesia di Pasolini si caratterizza per la presenza di costanti echi simbolisti, romanzi e danteschi, influssi della migliore tradizione letteraria europea uniti dalla coscienza lucida e civile dell’autore. Il poeta dal cuore elegiaco, «appare così indifeso il cuore elegiaco di cui provo vergogna» (la Realtà, da Poesia in forma di rosa), affida alla parola una funzione strumentale che mette in dialogo l’io lirico, l’io poetante, e la sua musa: il mondo. Con la realtà in frantumi Pasolini, che costituisce un mondo di per sé per l’immensità e la varietà dei suoi risultati artistici, si mischia e si avviluppa fino a morirne. A dare respiro alla poesia pasoliniana è, dunque, l’universo umano la cui forza sta nella degradante diversità che lo connatura, dissomiglianza che va preservata dalla forza omologante della società dei consumi. L’uso del logos in Pasolini è “ad oltranza” e l’autore sottopone forme e strutture tradizionali alla decostruzione e all’irregolarità tale da creare una mimesi con il mondo in decomposizione.
Per comprendere le ragioni di fondo della critica pasoliniana alla realtà piccolo borghese italiana degli anni del boom economico, il professor Guido Santato, durante uno dei primi incontri del ciclo di seminari incentrato sul tema della tradizione, ha scelto di commentare uno dei componimenti forse più eloquenti del poeta tratto dalla raccolta Transumar e organizzar intitolato La poesia della tradizione.
La corrispondenza con il passato è evidente già nel titolo della raccolta, considerando il rapporto quasi ossimorico costituito dall’autore attraverso l’unione del neologismo dantesco transumanar, verbo che nella propria radice contiene tutta la volontà metafisica infusa da Dante nella Commedia, dal momento che il neologismo attestato per la prima volta nella cantica del Paradiso ha l’obiettivo di referenziare un innalzamento spirituale oltre le possibilità umane, e il termine capitalista e borghese organizzar, adatto a referenziare l’atteggiamento classificatorio e burocratico proprio della classe borghese inebriata dalla necessità dell’utile e dalla fallace perfezione dell’ottimizzazione e nel titolo specifico della poesia stessa che presenta la parola tradizione al suo interno. Il modo che Pasolini ha di guardare alla tradizione e di renderne giustizia si fa, però, antitradizionale e sottoposto ad un continuo rinnovamento tanto da poter affermare che, attraverso i versi del poeta, la tradizione passa per il filtro dell’antitradizione e della storia. La forza dirompente del componimento non si realizza solo nei contenuti sviluppati dall’autore nel dettato poetico ma anche nella sintassi spasmodica e caratterizzata dalla frammentazione del verso (la frammentazione del verso attraverso la sintassi, sottolinea il professor Santato, è un espediente stilistico adoperato da Pasolini già in Poesia a Casarsa). Attraverso questi versi segmentati Pasolini sviluppa le ragioni della sua invettiva contro la generazione sfortunata che diventa “capitale” del sistema, per sua propria natura e volontà omologante e avvilente, e che obbedisce al sistema disubbidendo, impiegandosi in una rivoluzione che altro non è che un rinnegamento della storia e della tradizione a vantaggio della classe dominante, quella dirigente costituita dagli “omuncoli” della Democrazia Cristiana. La riprovazione nei confronti della tradizione dimostrata dei giovani protagonisti del ’68 cullati dalla lotta di classe affinché non piangessero e figli di genitori non più fascisti rappresenta uno dei moti, e forse il più significativo, teso alla degradazione morale e il tramonto definitivo della Meglio Gioventù. Pasolini lungi dal votarsi alle ragioni e ai falsi miti rivoluzionari rivela tutta la sua avversione alla contemporaneità dalla vacuità ormai insanabile con la celebre frase pronunciata da Orson Welles nel film La ricotta (1963): io sono una forza del passato.
La vicinanza di Pasolini alla tradizione si rivela non soltanto nella rilettura dei classici, continuo il dialogo con la poesia romanza, con l’opera dantesca e con la poesia simbolista innervata sull’esempio pascoliano e con l’arte figurativa di Masaccio, ma anche nello studio sociologico e filologico rispettivamente del costume e della letteratura popolare. Nel suo intervento intitolato Modi del riuso pasoliniano. Stendalì e la testualizzazione del documento etnografico, la professoressa Caterina Verbano indaga la prassi pasoliniana di utilizzare in maniera letteraria il materiale etnografico da lui stesso ricercato. Analizzando il cortometraggio Stendalì, cantano ancora, realizzato nel 1960 da Cecilia Mangini in collaborazione con Pier Paolo Pasolini, emerge la volontà di Pasolini di risemantizzare i canti popolari con l’obiettivo di restituire un orizzonte metastorico e mitologico alla ricchezza popolare. Partendo dall’ipotesto modulare e frammentato dei canti Gricchi Salentini, Pasolini cerca di organizzare il materiale etnografico in un’unità narrativa composita vivificata attraverso la figura della madre e del figlio morto ricalcando il topos della madonna mater dolorosa che piange il sacrificio del figlio (il rapporto con la tradizione di Pasolini si arricchisce anche di archetipi cristiani) e modificando il testo di partenza per soddisfare la volontà di autobiografismo propria del poeta tale da alterare l’età del protagonista del canto popolare (tredicenne nel canto salentino e sedicenne nel commento pasoliniano).
I due prodotti artistici presi in esame, tradisco deliberatamente il poeta utilizzando il sostantivo “prodotto” per identificare il lavoro di un intellettuale come Pasolini che ha fatto dell’industria culturale il suo bersaglio privilegiato per poi essere eretto, forse per un umoristico scherzo del destino, icona pop proprio dalla stessa, costituiscono solo un esempio dei numerosi tentativi artistici riusciti dell’autore (a fronte di altri dai risultati meno stupefacenti o semplicemente non portanti a termine) di fare della tradizione un “faro” illuminante da seguire per navigare, evitando la perdizione o peggio ancora la deriva spirituale, per nuovi canali performativi attraverso linguaggi moderni e forte di innovative deduzioni.