di Ermanno Testa
Da diversi anni a questa parte nell’opinione pubblica mondiale si va facendo strada in modo capillare l’esigenza di arrestare i processi di privatizzazione dell’acqua. Impedire di mercificare il bene comune acqua mantenendolo di proprietà pubblica con un governo pubblico e partecipato, appare sempre più necessario per garantire la tutela della risorsa, il diritto e l’accesso all’acqua per tutti e la sua conservazione per le generazioni future. Serve inoltre a evitarne il degrado e lo spreco e a impedire il peggioramento della qualità del servizio di distribuzione, la riduzione degli investimenti, l’espropriazione dei saperi collettivi e, non meno importante, a garantirne una gestione trasparente e democratica. In sostanza, l’acqua è una risorsa vitale per l’umanità e l’unico modo per garantirla anche alle generazioni future è quella di mantenerla di proprietà pubblica.
Un movimento analogo, forse di ancora più forte portata, è quello relativo alla salvaguardia della nostra atmosfera, il cui degrado dovuto alle tante emissioni di CO2 è percepibile nell’aumento della temperatura dell’aria sulla Terra e nei conseguenti sconvolgimenti climatici. Anche in questo caso il richiamo è ad una politica di contenimento e riconversione delle produzioni causa di quelle emissioni, e quindi principalmente esso è rivolto alle autorità pubbliche degli Stati, la cui autorevolezza soltanto, se consenzienti, può ridimensionare e progressivamente eliminare gli effetti negativi dei giganteschi interessi in gioco, sia localistici, sia privati. Anche in questo caso il contrasto all’inquinamento, al cambiamento climatico, all’incontrastato esaurimento delle risorse naturali e, in sostanza, la garanzia per il mantenimento di un ecosistema sostenibile per le generazioni future, passa per una coerente azione di governo di un potere pubblico, trasparente e democratico.
Un medesimo interesse a garanzia delle generazioni future dovrebbe riguardare la proprietà pubblica del territorio. In gran parte del Pianeta le terre emerse sono di proprietà privata e questo non ne garantisce sempre il buon uso e la buona conservazione per le generazioni future. I danni, pressoché irreversibili, già prodotti e ancora possibili a carico del suolo (e del sottosuolo) generati dalla proprietà privata dei terreni in base a logiche speculative, non poche volte illegali, richiedono una loro urgente riconversione pubblica, trasparente e democratica. La proprietà privata dei terreni è soggetta a frammentazione speculativa e ad un uso spesso improprio, come nei casi delle discariche abusive, determinando dissesto, abbandono, inquinamento. Ogni ricerca di risorse minerarie condotta con metodi distruttivi dell’ecosistema, ogni attività produttiva svolta senza alcun rispetto del territorio circostante e, in entrambi i casi, comunque senza alcuna garanzia, una volta esaurita l’attività, di un possibile ripristino delle condizioni precedenti, richiedono un controllo vincolante che solo la proprietà pubblica del territorio può riuscire a garantire meglio, nell’interesse della intera comunità. Analogo discorso riguarda l’attività agricola che non può essere incompatibile con la qualità del territorio e tantomeno causa di inquinamento delle falde acquifere. Le risorse minerarie, i corsi d’acqua, i boschi, i monti, i pascoli, le zone desertiche e quelle paludose, i litorali e tutte le altre realtà naturali sono beni comuni di cui tutti hanno diritto a godere e pari dovere a tutelare. Perciò il territorio, tutto il territorio, in superficie e nel sottosuolo, dovrebbe essere di proprietà pubblica tale che attraverso una gestione trasparente e partecipata, pur nella sua costante naturale trasformazione, ne sia assicurato l’uso più razionale possibile nell’interesse comune e delle generazioni future, garantendo la protezione dell’ecosistema e quindi del paesaggio, della fauna e della flora preziose, come pure la salvaguardia dei manufatti di interesse archeologico e artistico ereditati dal passato.
A queste condizioni ogni attività umana, dall’agricoltura all’allevamento, dall’edilizia, pubblica e privata, all’industria, ai porti, aeroporti, strade, ponti, ferrovie e quant’altro, potrebbe svilupparsi sui territori con modalità più protette secondo criteri di utilizzo razionale, trasparente, programmato e non di puro sfruttamento e conseguente degrado. Proteggere di più e meglio il territorio significa proteggere di più e meglio le attività umane. Se il territorio è di tutti ed è perciò sotto gestione pubblica, sarà più facile salvaguardarlo che non imponendo a chi ne è proprietario, nel migliore dei casi, regole e sanzioni a posteriori, spesso inefficaci. Già ora, intanto, sono moltissimi i territori che con urgenza andrebbero sottratti al degrado, recuperati e bonificati con massicce opere di difesa e di messa in sicurezza. Il regime privatistico del territorio non è un fatto naturale, e non è legato alle origini delle pratiche agricole; nell’antica Roma difendere il raccolto con le armi era un impegno collettivo della città. Col tempo, come remunerazione per la partecipazione alle guerre di conquista, le terre vennero assegnate a singoli proprietari. Col tempo la proprietà della terra, specie se consistente, divenne strumento di potere sociale e politico e condizione di sfruttamento del lavoro di chi non la possedeva. Con il Feudalesimo il potere dei feudatari si misurava in base all’estensione e alla ricchezza del territorio assegnato. Alle origini dell’età moderna la grande proprietà terriera diventò il vero simbolo del potere e della ricchezza di una sparuta quanto potente classe di aristocratici e borghesi: furono innalzati i primi recinti. In un regime democratico il territorio dovrebbe essere di tutti. Mantenere la proprietà privata dei suoli – dopo secoli di progressiva partecipazione democratica – continuando ad affidare alle scelte dei privati la loro destinazione in una logica di mercificazione, significa negare al potere pubblico, ai vari livelli territoriali, la possibilità di disporne l’assegnazione e l’uso più funzionale alla salvaguardia dell’ecosistema e all’interesse generale. L’acqua, la terra, l’aria non possono appartenere solo a una parte minoritaria della popolazione, non possono essere considerate merce e il mercato il riferimento per la loro gestione. Ciò contrasta sempre più con un concetto avanzato di democrazia. L’acqua, la terra, l’aria sono beni di tutti perché sono vitali per tutti: se sono beni di tutti debbono essere governati in nome di tutti, anche delle generazioni future.