MEDEA E GIASONE: PROMESSE DI FEDELTÀ

di Gabriele Colella

Proseguiamo con l’analisi delle promesse di fedeltà, che i coniugi si scambiano nella dodicesima Eroide, la lettera scritta da Medea al marito Giasone. Il primo a giurare la propria fides è Giasone; la coniunx, infatti, a differenza di quanto accade in her. 13, riporta, sotto forma di discorso diretto, le parole del marito:

Ius tibi et arbitrium nostrae fortuna salutis
tradidit, inque tua est vitaque morsuque manu (her. 12, 73-74)

E poi, ancora:

Spiritus ante meus tenues vanescat in auras
quam thalamo nisi tu nupta sit ulla meo! (her. 12, 85-86)

Medea, dopo aver ripercorso, nella sezione iniziale dell’epistola, il tempo passato con Giasone, il suo abbandono, la prima notte trascorsa in sua assenza, il sostegno fornito da sua sorella, rievoca il momento del matrimonio con l’eroe. Il ricordo si amplia a

Medea, Anthony Frederick Augustus Sandys. XIX sec.

partire dal verso 67: descritto il tempo e il luogo della cerimonia, la donna ci riferisce le parole proferite dall’uomo, i suoi giuramenti coniugali. I versi menzionati rientrano, rispettivamente, nella parte iniziale e finale del discorso di Giasone. Il messaggio che tali parole veicolano è inequivocabile: per Giasone, Medea è a tal punto importante che la sua vita e la sua morte dipendono da lei, dal suo aiuto. L’uomo, però, rincara la dose quando afferma di preferire che il suo spirito si dissolva nell’ara sottile, piuttosto che una donna diversa da Medea sia sposa nel suo talamo. È interessante notare che già in her. 6 (la lettera di Ipsipile a Giasone), Ipsipile apostrofi Giasone vernaque incertior aura (her. 6, 109). È evidente che tra her. 6 ed her. 12 riecheggi l’immagine del vento, dell’aura, più precisamente. Nella sesta epistola l’eroina rinfaccia a Giasone la sua imprevedibilità simile a quella del vento di primavera; in her. 12, invece, è lo stesso Giasone, questa volta rivolgendosi a Medea, ad affermare di preferire che il suo spirito si disperda nell’aria sottile piuttosto che giacere con un’altra donna. Fa riflettere, dunque, che in entrambe le lettere a Giasone sia legata l’idea del vento presumibilmente per suggerire l’instabilità dell’eroe e la sua camaleontica capacità di trasformarsi, che lo induce ad abbandonare e tradire le mogli.
La struttura di her. 12, 85-86 (Spiritus ante meus tenues vanescat in auras / quam thalamo nisi tu nupta sit ulla meo!) più che la professione di Laodamia (per la quale anzi si trattava di restare per sempre con Protesilao in vita come in morte), richiama quella di Ermione (her. 8, vv. 121-122 aut ego praemoriar primoque exstinguar in aevo / aut ego Tantalidae Tantalis uxor ero). In entrambe le lettere, in her. 12 e in her. 8, due sole prospettive esistenziali si offrono all’amante eternamente fedele: morire subito o accompagnare per sempre il coniuge (essere per sempre Tantalide moglie di un Tantalide nel caso dell’ottava epistola). È degno di nota che tanto in her. 8 quanto in her. 12 le due alternative si dispongano, simmetricamente, in un verso ciascuna: nel

Medea e Giasone, John William Waterhouse. XIX sec.

distico, il primo verso è quello dedicato alla possibilità della morte (her. 8, 121 aut ego praemoriar primoque exstinguar in aevo ; her. 12, 85 spiritus ante meus tenues vanescat in auras), il secondo, invece, alla possibilità di vivere per sempre con l’amante (her. 8, 122 aut ego Tantalidae Tantalis uxor ero; her. 12, 86 quam thalamo nisi nupta sit ulla meo!). Si osservi, inoltre, che le due proposizioni, seppur veicolanti lo stesso significato e disposte ugualmente nei distici, sono strutturate in maniera diversa. Alla ripetizione di aut nelle parole di Ermione che ben si addice alla dicotomica distinzione tra le due possibilità che si escludono a vicenda (i due aut introducono per polisindeto due proposizioni coordinate fra loro) si sostituisce, in her. 12, un periodo retto dal congiuntivo vanescat, con una subordinata temporale di primo grado introdotta da ante quam. Per il resto, il lessico adoperato merita una particolare attenzione. L’exstinguere delle parole di Ermione si riflette nella forma perifrastica usata da Giasone, il vanescere del suo spiritus in tenues auras: entrambi i verbi suggeriscono l’idea della dispersione della vita, del suo dissolversi graduale; l’immagine è certo più definita nelle parole di Giasone che in quelle di Ermione in cui exstinguere è allora da intendersi non tanto come ‘morire’ dunque, ma ‘spegnersi poco a poco’. Ermione e Giasone sembrano, insomma, animati dalle stesse intenzioni nei confronti del partner e le loro espressioni hanno degli evidentissimi punti in comune. A dir poco audace il tentativo del poeta di creare un parallelismo tra la moglie di Oreste e il marito di Medea, protagonisti del mito greco tanto diversi tra loro eppur tanto simili nel modo di professarsi ai rispettivi coniugi, innegabile dimostrazione dell’uniformità tematica e stilistica delle Heroides di Ovidio.
Rivolgiamo adesso l’attenzione alle confessioni di Medea in her.12:

Vix me continui, quin sic laniata capillos
clamarem: «meus est!» iniceremque manus (her. 12, 157-158)

Nel corso della lettera, Medea si lascia andare nuovamente ai ricordi. A partire dal verso 137 (Ut subito nostras Hymen cantatus ad aures) la donna rievoca il momento in cui aveva ascoltato il canto di Imene, aveva visto brillare le fiaccole fiammanti e udito il flauto diffondere melodie nuziali; rievoca il momento in cui assistette, richiamata alla scena proprio da suo figlio, al nuovo matrimonio di Giasone. Presa dall’ira, gelata nel petto – racconta l’eroina – a stento si trattenne dal proferire, ad alta voce, che Giasone le appartiene e dal reclamarne il possesso (il gesto della iniectio manus è quello con cui i romani rivendicano la legittima proprietà di un oggetto). È necessario puntualizzare che per Medea l’occasione per confessarsi al marito è solo questa. Dunque, a una professione di fedeltà più volte ribadita dalla moglie si contrappone il caso opposto in her. 12: è più Giasone a confessare la sua fedeltà alla moglie che Medea nei suoi confronti. La coniunx si limita anzi a ribadire l’esclusività imposta dalla relazione matrimoniale: meus est rappresenta un’interessante alternativa all’anafora di tua delle parole di Penelope (her. 1, v.83 tua sum, tua dicar oportet) e al nisi tu nupta sit ulla delle parole di Giasone (her. 12, v.86).

 

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