di Carmela Moretti
Più di otto ore di viaggio sempre in piedi, con una divisa a maniche lunghe in inverno e d’estate, senza uno sgabello per far riposare le gambe, pronti a ripartire quando il telefono squilla e una voce dall’altra parte ordina: “Preparati!”.
Sembra un lavoro d’altri tempi, di quelli che si facevano soltanto perché non si trovava altro, quando mancavano le minime tutele sindacali. E, invece, è un lavoro d’oggi, che si svolge sotto gli occhi di tutti: è il lavoro dell’uomo della carrozza bar sui vagoni di Trenitalia.
Noi non conosciamo nulla delle vite di queste persone, che incrociamo soltanto per alcuni minuti, giusto il tempo di sorseggiare un caffè o farci riscaldare un panino: sappiamo soltanto che sono perlopiù giovani, allettati dall’idea di uno stipendio dignitoso, che hanno come fine quello di rendere meno amaro il nostro viaggio. Per esempio, quando ci capita di viaggiare su quelle catapecchie che sono i vagoni del Frecciabianca (la vergogna del trasporto ferroviario italiano!), senza aria condizionata e talvolta con servizi igienici guasti come è capitato a chi vi scrive, l’unica salvezza è proprio la carrozza bar, la numero tre, che è anche la “casa su rotaie” di questa categoria di lavoratori.
Non sono dipendenti Trenitalia, ma di una ditta appaltatrice (o interinali). Ne abbiamo incontrati alcuni e ci siamo fatti raccontare la loro vita, che si svolge in questo modo: imbracciano il trolley (il loro più grande incubo), arrivano alla carrozza bar un’ora prima della partenza, caricano a bordo da soli tutto il materiale – centinaia di balle di acqua, centinaia di panini, tramezzini, insalate, dolciumi, caffè – ed ecco che si parte!
In poco tempo servono la prima classe, poi si sistemano nella loro postazione – surriscaldata da piastra e macchina da caffè – e lì ci restano per tutto il tempo, mentre provano a destreggiarsi tra le richieste più disparate. Spesso, diventano anche parafulmini di rimbrotti e lamentele da parte dei viaggiatori, quando ci sono guasti e disagi a bordo e il capotreno sembra essersi improvvisamente volatilizzato…Arrivati a destinazione, hanno giusto il tempo di riposarsi in un albergo a loro assegnato (si dorme più negli alberghi che a casa propria) e all’alba si riparte per il viaggio di ritorno. E poi si riparte ancora e ancora: i turni sono quattro di seguito, talvolta anche sei quando scarseggia personale.
“Faccio questo lavoro da 14 anni, ho cominciato in giovane età” – spiega Antonio (nome di fantasia) – lo stipendio è discreto, soprattutto per questi tempi, ma i turni sono massacranti. Ammetto di essere alla ricerca di un altro tipo di impiego, che mi consenta di passare qualche notte e qualche domenica in più a casa. D’altra parte, dopo aver svolto questo lavoro per anni, non mi spaventa niente: sono davvero pronto a tutto”.
Ed ecco che nel frattempo sentiamo di nuovo quell’annuncio, che per un viaggiatore stanco, accaldato e affamato è come il richiamo di una sirena: “Vi aspettiamo nella carrozza bar, la numero 3, per accogliervi con caffè, bibite, panini, insalate e dolci…”, dove ad attenderci c’è sempre un giovane uomo in camicia invernale (anche con temperature di 40 gradi), senza sgabello per far riposare le gambe.