LOU ANDREAS SALOMÉ: UNA DELLE PIÙ INESPLORATE FIGURE DEL SAPERE

di Giulio Loiacono

In tempi di “me too” ed altre vicende del genere, io osservo, da questo mio eremo, che la vicenda del mondo è stata semplicemente determinata dalle donne.

Intendo la grande storia, la grande scienza e la grande e reale evoluzione del pensiero.

Senza entrare né avventurarmi in ciò che la più recente storiografia, la filologia, la filosofia stanno, come archeologi del vero, mettendo in evidenza parlando di grandi, enormi figure femminili hanno delineato la traiettoria per imboccare il giusto raggio di curva, anche quella più insidiosa, della storia e della vicenda culturale dell’umanità intera.

Si pensi ad Artemisia Gentileschi, a Christine de Pizan, che molti, anche tra i più avveduti uomini, totalmente ignorano. Con ciò arrivo a parlare di una delle più sterminate ed inesplorate figure del sapere.

Non ci fu campo in cui Louise Von Salomé non eccelse: sulla sua vita non voglio entrare. L’unica cosa che vi posso dire è che fu la visione di due film ad aprirmi la mente su questa donna.

Entrambi i lavori non sono proprio recenti, ma mi hanno attirato per vie traverse: uno è del 1978 ed è firmato da Liliana Cavani e si intitola come il più celebre lavoro di Nietzsche sulla morale: “ Al di là del bene  e del male”. In quel clima da post 1977, con i moti di avanguardia, ben più densi di violenza e militanza dello stesso ‘68, il film, con la licensiosità tipica del cinema della Cavani, fa di Louise “Lou” Salomè una tipica figura di femminista, non solo controcorrente ma battagliera, acuta, spregiudicata nella sua lotta contro la convenzione e la banalità assoluta dell’esistenza definitivamente “borghese e bigotta”. A farne da contraltare è il “prete al contrario” Friederich, al fianco del quale, nella pellicola italiana, si nota una figura, sempre più avvelenata dal male sifilitico e oppiaceo del figlio del pastore luterano della Pomerania, un lascivo ma interessante Paul Rée, un personaggio poco noto da noi, ma fondamentale per reggere il ménage a trois, interpretato da un buon Robert Powell in fuga dalla sua dannazione cinematografica del Gesù di Zeffirelli.

Un film crudo, dalla carnalità brumosa e umida, che ti entra nella pelle; cavaniano ma efficace anche nei contenuti di pensiero che la regista intendeva trasmettere.

L’altra pellicola, non passata inosservata al Festival di Cannes del 2016, intitolata Lou Andreas Salomé- The audacity to be free,   è una coproduzione di vari paesi ma a trazione germanica, che il vostro si è potuto gustare in lingua originale per voi -raccomando, per chi sa le lingue e per chi ardisce di saperle o quantomeno orientarvisi, di guardare il film in lingua originale, magari sottotitolati, come si fa al di fuori dello Stivale, diciamo che serve.

Qui, infatti, si colgono sfumature che il doppiaggio non renderà mai. La trama: una ormai anziana Lou, prigioniera dei mali del corpo che di lì a poco la condurranno alla morte, in pieno nazismo in ascesa, siamo proprio nell’annus horribilis del cancellierato hitleriano, il 1933, detta ad un suo ammiratore, Ernst Pfeiffer, poi divenuto suo amico, le sue memorie.

E le sue memorie tengono assieme Nietzsche, Rilke e Freud, che ella ebbe modo di conoscere e:1) il primo, attraverso l’unico e vero saggio filosofico sull’opera del pomerano, opera del pugno di Lou. Nietzsche è vero, autentico e non manipolato da quei due manigoldi di Lisbeth, la sorella di Federico, e dal quel prode del cognato-nel film della Cavani c’è una superba Virna Lisi, che rende al meglio il rapporto assolutamente morboso che lega Lisbeth a Friederich-e che pertanto raccomando di leggere assieme alla opera omnia di Emerson, che ricordo sommessamente venire prima di Nietzsche;2) letteralmente solleva da terra l’incerto e femmineo René Maria Rilke, che Ella ribattezza Rainer, ossessionato dalla figura oppressiva della madre, lui vera parte debole e di cui Lou, che ha una storia erotica appassionata con il più giovane Rilke, nel film dice:” mi ha attratto la sua parte femminile e mi ha conquistato” ed in cui Lou fa da madre e padre e che, ripeto, lo trasporta al successo;3) Sigmund Freud, che non era ancora quel genio della psicanalisi e che senza Lou, che inventò le sedute sul lettino, la tecnica del retroagire alla infanzia e che teorizzò il primo trattato sul narcisismo come psicopatologia di matrice ansiosa, è ancor oggi punto di riferimento degli studi freudiani.

Ebbene, tutto questo, senza questa donna, sarebbe stato impossibile.

Con tutte le contraddizioni di un’epoca, il discorso attorno alla morale, all’ego, alla poesia ed alla lirica intimistica ed il concetto di inconscio non sarebbe mai sorto. Che impatto tutto questo avrebbe avuto su tutto il Novecento credo lo sappiate tutti.

Per dirla sempre con Lou, si potrebbe concludere con un’ovvietà, che tale, però, mai non è. La vicenda umana è fatta non da uomini, né da donne, ma solo da persone, che con la loro libertà e con la loro sfida alla livella della banalità, rendono effettivamente possibile il progresso.

Qui di seguito, alcuni testi:

 

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