di Giulio Loiacono
Chi ha paura di Taylor Swift? La risposta è o sarebbe: spero proprio nessuno! Questo nome da oscura travet bancaria – infatti questo cognome dalle vaghe risonanze scottish nonché dalle forti assonanze interbancarie – pare sconvolgere o affascinare l’universo mondo.
Tutti si interrogano sul valore di questa donna. Bella non è. Brava o baciata dal talento, nemmeno. E qui mi pare idea condivisa da gran parte degli esperti e dei suoi colleghi dello show-biz canoro. Invidia non è perché le riflessioni tecniche fattele – dalle intonazioni diciamo molto incerte alla estensione vocale da criceto – paiono legittime e sostenibili. Musicalmente chi lavora e produce per lei partorisce topolini dorati a 18K dalla più che proverbiale montagna strutturale. I testi delle sue canzoni, al di là di qualche prodezza isolata, tipo le parole di Anti-Hero, sono di una banalità disperante. Molti dicono, tra cui le temibili swifters, nuove Erinni, che starebbe proprio lì il segreto del suo successo, ossia di interpretare un anonimato ed un minimalismo contenutistico in cui le Ménadi di oggigiorno si identificano.
Scavare nella vita di Taylor non è che offre sponde alla esegesi del futuro personaggio. Di certo, il fatto di non provenire da una famiglia disagiata economicamente ha offerto alla giovane – figlia di un ex broker di alto livello di Wall Street e di una attenta altoborghese sia all’investimento sia allo sfruttare la generazione di nuovo capitale dal capitale posseduto – una straordinaria capacità di fare brand. Non è nemmeno, peraltro, detto che tutti i rampolli della ottima finanza abbiano questa stessa propensione all’investimento. Ma lei sì. È, probabilmente, la sua vera, unica ed eccezionale dote che si può riconoscere alla Taylor bambina prima e alla giovane donna ora.
Il resto, dalle campagne pubblicitarie e non a sfondo sociale e/o politico, comune ad ogni vera celebrità a stelle e strisce, con il segno comune di un accurato ondeggiare tra posizioni woke e generiche e dunque deludenti per il suo cerchiobottismo; in politica, da un velato supporto, un po’ più deciso, per la presidenza attuale ad un molto più sfumato atteggiamento dovuto, forse, al fatto che lei, da grande furbona, abbia previsto un risultato diverso, di qui a Novembre, rispetto alla conferma dell’attuale inquilino della Casa Bianca; nella società e verso il mondo femminile, da una chiamata a raccolta delle sue seguaci verso i temi della parità ad un molto più prudente o silenzio o mitezza di contenuti circa la condizione femminile.
In questo ricorda Michael Jordan, il quale non prese mai una posizione decisa a favore degli afroamericani, almeno fin quando era giuocatore, in quanto era cosciente che le Nike Air Jordan venivano comperate anche dai bianchi e dai repubblicani.
In sostanza, non è una buona cantante, non è una guru dei testi e una movimentista del pensiero collettivo, non prende una posizione mai decisa su praticamente nulla. Allora cos’è? E da dove deriverebbe questo successo? Io non lo so e mi interrogo ma, per favore, non abbiatene paura, né di lei né, ancor più, delle sue sacerdotesse pronte ad assaltare le misere spoglie di questo mondo incerto.
ENGLISH VERSION
Who’s Afraid of Taylor Swift?
The answer is or would be: I hope none! This name from an obscure banking tradition – in fact this surname with vague Scottish resonances as well as strong interbanking assonances – seems to shock or fascinate the entire world.
Everyone wonders about the value of this woman. It’s not beautiful. Not even good or blessed with talent. And here it seems to me that an idea is shared by most experts and colleagues in the singing show business. Envy is not because the technical reflections made to her – from let’s say very uncertain intonations to the hamster-like vocal extension – seem legitimate and sustainable. Musically, those who work and produce for her give birth to 18K golden mice from the more than proverbial structural mountain. The lyrics, beyond a few isolated feats, such as the words of Anti-Hero, of her songs are of a despairing banality. Many say, including the fearsome swifters, new Erinyes, that the secret of his success lies precisely there, that is to interpret an anonymity and a minimalism of content with which today’s Ménads identify themselves.
Digging into Taylor’s life does not offer insights into the exegesis of the future character. Certainly, the fact of not coming from an economically disadvantaged family offered the young woman, the daughter of a former high-level Wall Street broker and an attentive upper-middle class woman, family very well aware of the ways to invest financial resources and the way how to get earnings and creating a real brand out of that. But she does. This is probably her best quality and probably that is her real skill she got since her childhood and she still does have.
What else can I say? From her campaigns with soft traces of social commitment to strengthen women’s social conditions to her political positions swinging from an insecure manner towards Woke to going back to much more safe median positions. Again from stronger ideas about progressive issues to weaker statements inspiring a more prudent behavior about the next White House tenant and so on.
So, who’s she? Frankly I don’t know but please don’t be afraid of her nor her priestesses ready to assault this uncertain and too weak world definitely not ready to respond to them.