LA TRAGICA FINE DI UN ILLUSTRE ACCADEMICO

di Francesco Monteleone

Il 24 marzo 2018 è una data che non dimenticherò mai. Ho vissuto una triste separazione, l’abbandono doloroso di un compagno che aveva appena 40 anni e non riusciva più a sopravvivere dignitosamente.

Negli ultimi tempi era stato costretto a ricevere trapianti, affidandomi dalla rete gli avevo affiancato un paio di badanti, ma la verità è che lo compativo e, sempre più spesso, lo ignoravo crudelmente. Lui non si faceva più capire, sembrava, per assurdo, che gli mancassero le parole; l’ultima volta gli ho fatto una promessa, falsa: “Un dì, se per miracolo resusciterai, mi vedrai di nuovo seduto accanto, per ammirarti, consultarti, per non lasciarti più…” Ma nell’allocuzione c’era solamente un triste futuro suppositivo. So bene che io mi sto avviando verso il rincretinimento senile e lui presto sarà riciclato secondo le leggi della natura.

Perciò, senza fare funerali e senza vestirmi a lutto, ti porgo l’ultimo saluto: Addio, vecchio vocabolario! vorrei scriverti un sonetto per ringraziarti della tua umiltà e benevolenza, ma non ho tempo per un testo poetico decente. Anzi non ne sono capace, perché, scusami se te lo rinfaccio, non sei mai stato all’altezza di insegnarmi le tecniche di comunicazione indispensabili al linguaggio figurativo. Anafore, asindeti, anadiplosi, antifrasi, allegorie, denotazione, connotazione…mi sembravano tutte spiegate allo stesso modo e io ti chiudevo, rassegnato. Tu, però, non hai grandi colpe; con le parole non si può logicizzare l’arte, né sperimentare la scienza.

Ora posseggo le macchine al posto tuo. Con quattro denari compro i giga e mi sento, immediatamente, onnisciente e onnipresente. Digito su una tastiera quel che voglio sapere e, in pochi secondi, mi rispondono persone, testi, gentilissimi esperti, in tutte le lingue del mondo. Non devo tornare a casa per sfogliarti, per copiare sul quadernino i tuoi immutabili testi, temendo di aver dimenticato qualcosa. Con l’intelligenza artificiale trovo quel che voglio, ovunque e sempre.

Sinceramente pensavo di soffrire di più, separandomi da te, ma la crisi era maturata da tempo, per un crescente deficit di fiducia verso la tua obesità. Ormai rappresenti la tradizione; sarai ricoverato nella memoria storico-culturale, avrai qualche pianto antico nei convegni dei filologi, infine sarai esposto alle entrate delle biblioteche, come quelle vecchie e gigantesche cassapanche medievali che imbellettano i corridoi dei Palazzi dei Priori.

Voglio dirti, caro Vocab, che questo editoriale non è una montatura pretestuosa. Tu custodivi le parole, le spiegavi, le proponevi, ma sinceramente ti facevo pagare tanto. Eri caro, nel senso di costoso. Per non parlare delle tue manie di grandezza; quando, seguendo la moda transgender, accettasti di trasformarti in enciclopedia, in molte famiglie dovemmo riempirci di cambiali con le case editrici e con i falegnami delle librerie. E ciò nonostante diventasti intrattabile, non ti si poteva toccare per paura di rovinare la confezione.

Bene. È tempo di dimenticare il passato e procedere per nuovi desideri. La scrivania è più libera. Le parole che cerco mi compaiono illuminate. Eppure, non provo piacere, mi manca qualcosa…la verità è che il mio erotico vocabolario da tavolo era più disponibile, sempre aperto, si faceva toccare intimamente. Qualche volta, per fare presto, nel titillarlo umettavo l’indice (i maiali lo fanno con il dito medio), ma senza bagnare due volte la stessa pagina. E ora? Come si fa ad esser feticisti con Wikipedia?

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